I pilastri dell’economia di Harris e Trump

I programmi economici saranno decisivi per il voto del 5 novembre
Kamala Harris - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Si dice spesso che le elezioni presidenziali statunitensi si giochino sul terreno decisivo dell’economia. Il tema che più interessa e preoccupa gli elettori, determinandone le loro scelte di voto ultime. Tutti i sondaggi sembrano confermarlo: sono le tematiche economiche, seguite da immigrazione, criminalità e diritti delle donne, quelle ritenute più importanti da chi si recherà alle urne in novembre. Mille specificazioni sarebbero in realtà necessarie, a partire dal fatto che queste tematiche – si pensi appunto all’inflazione – sono spesso strettamente interdipendenti con dinamiche internazionali.

I candidati, queste interdipendenze tra interno ed esterno, evitano però di considerarle. Per avanzare proposte economiche che minimizzano appunto le influenze e costrizioni globali. E per rivendicare, ed esagerare, gli strumenti di cui dispongono per condizionare variabili quali prezzi, crescita e occupazione. È quanto stanno ovviamente facendo anche Kamala Harris e Donald Trump. Che non senza vaghezze o incoerenze, hanno iniziato a delineare le loro proposte in materia di economia.

Donald Trump - Foto Ansa/Epa/Jim Lo Scalzo © www.giornaledibrescia.it
Donald Trump - Foto Ansa/Epa/Jim Lo Scalzo © www.giornaledibrescia.it

Nell’esaminare queste proposte, balza agli occhi la sostanziale convergenza non solo nella (ovvia) individuazione dei comuni problemi a cui dare risposta, ma anche – cosa invece meno scontata – nell’impianto e nella filosofia di fondo dei loro programmi.

Il problema principale è, lo sappiamo, quello rappresentato dalla crescita dei prezzi. L’inflazione è stata riportata sotto controllo e a breve avremmo finalmente un primo taglio dei tassi da parte della Fed. I prezzi rimangono però molto al di sopra del gennaio 2021. E questo vale soprattutto per una serie di beni e di necessità particolarmente percepibili nella quotidianità: dagli alimentari all’energia agli affitti.

Harris propone interventi in ognuno di questi ambiti, accrescendo gli strumenti di cui dispongono le agenzie federali per sanzionare immotivati aumenti dei prezzi. Per la candidata democratica la risposta all’emergenza abitativa può venire solo dal combinato disposto di incentivi alla costruzione di nuove unità abitative (tre milioni in quattro anni) e di generosi sussidi federali (fino a 25mila dollari a chi acquista per la prima volta una casa).

Tra le proposte di Harris vi sono inoltre la riattivazione o il potenziamento di crediti fiscali a famiglie con minori. Il tutto da finanziarsi con un aumento ancora non ben specificato delle imposte sui redditi più elevati e di quelle sulle società (la corporate income tax verrebbe portata dal 21 al 28%; era del 35% nel 2017).

Trump offre invece un mix di ortodossia repubblicana, soprattutto in materia fiscale, e di novità. Propone di abbassare ulteriormente la corporate tax (al 15%) così come le imposte sulle fasce più alte del reddito delle persone fisiche (ma senza rivoluzioni reaganiane, si riporterebbe l’aliquota maggiore dal 39.6 al 37%). Promette tutta un serie di sgravi, incentivi e deregolamentazioni al mondo dell’impresa.

E garantisce una risposta all’inflazione, abbassando il prezzo dell’energia, attraverso il rilancio dell’estrazione di petrolio e gas naturale. Quanto all’alto prezzo degli affitti, sostiene di liberare numerose unità abitative attraverso un piano draconiano di espulsione dei milioni d’immigrati illegali presenti nel paese. Il tutto integrato dall’adozione di aggressive politiche protezionistiche per rilanciare la produzione industriale.

La demagogia, in campagna elettorale, fa da padrona. Come evidenziano peraltro i tanti cortocircuiti delle proposte sia di Harris sia di Trump. La storia di politiche di controllo dei prezzi ne evidenzia l’efficacia limitata e i tanti, possibili effetti indesiderati. Costruire milioni di unità abitative in poco tempo cozza contro i poteri che municipalità e stati hanno nel regolamentare piani regolatori e regolamenti edilizi.

Quanto a Trump, resta da spiegare come protezionismo radicale ed espulsione di milioni di lavoratori possano non avere effetti inflattivi. Si diceva, però, che i due piani muovono da presupposti comuni. Che ci danno una cifra di quanto siano cambiati gli Usa e la loro politica negli ultimi anni. Questi presupposti sono il riconosciuto ruolo dello Stato nell’economia, il ripudio dei processi d’integrazione economica globale e, anche, la disattenzione verso conti pubblici, segnati da alto deficit e crescente indebitamento.

Deficit destinato ad aumentare ancora molto se venissero attuate appieno le ricette economiche che Harris e Trump oggi propongono (tra l’1 e i 2 miliardi di dollari in un decennio con Harris e, addirittura, tra i 4 e 6 miliardi con Trump, secondo alcune recenti stime).

Mario Del Pero - Docente di Storia internazionale, Sciences Po Parigi

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