I dazi cinesi e l’incognita Ue sulle strategie produttive

Allo stato attuale l’Europa rinuncerà a una produzione nella quale ha un vantaggio comparato (motore a scoppio), inseguendone una nella quale la Cina ha, a sua volta, un vantaggio comparato (motore elettrico)
L'Ue ha imposto nuovi dazi su veicoli elettrici cinesi - Foto Ansa/Epa/Alex Plavevski © www.giornaledibrescia.it
L'Ue ha imposto nuovi dazi su veicoli elettrici cinesi - Foto Ansa/Epa/Alex Plavevski © www.giornaledibrescia.it
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Sono conciliabili restrizioni al libero commercio e liberi investimenti esteri? Oppure i secondi possono aggirare i primi? In più, non vi è il rischio di far scattare un meccanismo per cui un dazio tira l’altro, dando luogo a un’escalation protezionista?

Pare proprio sia così. Ne sono esempio i dazi posti dall’Ue nei confronti dell’auto elettrica cinese. Dall’inizio di luglio ne sono scattati di nuovi, voluti dalla Commissione europea uscente.

Alle importazioni di e-car, già gravate di una protezione del 10 per cento, si è aggiunto un gravame variabile (a seconda dei sussidi ricevuti da questo o quel marchio) fissato tra il 17 e i 38 per cento.

I nuovi dazi sono anche una risposta a quelli introdotti (portando la protezione al 100%) dagli Stati Uniti, pure questi voluti da un’amministrazione uscente. Come risposta la Cina sta indagando sui sussidi europei alla produzione di carne suina, e mira ad applicare un dazio, ancora da definire, agli 800 milioni di tonnellate importate dall’Ue.

I sussidi cinesi, questo è l’argomento di Bruxelles, distorcerebbero la concorrenza a danno dei produttori europei: è questa la faccia offerta della medaglia dazio. La faccia della domanda riguarda gli acquirenti, per i quali le e-car diverranno più onerose. La transizione energetica, il Green Deal, ha portato all’introduzione di generosi sussidi per l’acquisto di e-car, così come al divieto di immatricolazione di auto con motore a scoppio dal 2035, ma resta da vedere come il tema sarà affrontato dalla prossima Commissione von der Leyen.

Allo stato attuale, tuttavia, l’Europa rinuncerà a una produzione nella quale ha un vantaggio comparato (motore a scoppio), inseguendone una nella quale la Cina ha, a sua volta, un vantaggio comparato (motore elettrico). Lasciare una produzione nella quale si è competitivi per buttarsi in una nella quale rincorriamo chi è tecnologicamente più avanzato non pare la miglior scelta.

L’Ue è di gran lunga il maggior esportatore di prodotti automotive, con circa 650 miliardi di euro, seguita da Stati Uniti con 130, mentre la Cina si ferma a 113 (dati Wto). La storia va ripetendosi. Quando negli anni ’70 e ’80 del Novecento si applicarono quote all’auto giapponese, i produttori del Sol levante vennero a investire e produrre da noi. Ora i cinesi si apprestano a fare altrettanto, con progetti in Ungheria e in Turchia. Con i primi per sfruttare le opportunità del mercato unico, con i secondi per avvalersi delle facilità dell’Unione doganale.

Ursula von der Leyen - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Ursula von der Leyen - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Protagonista è la casa Byd (Build Your Dream), specializzata nelle e-car. Il paese di Orban, è già hub nella produzione di auto, coi giapponesi di Suzuki, nonché i tedeschi di Mercedes Benz, Audi e Bmw, si appresta a costruire un impianto nel sud ungherese. Poi vi è la Turchia, anch’essa determinata a divenire un hub nella produzione di e-car. È di questi giorni l’accordo tra il governo di Recep Erdogan e Byd, questa investirebbe un miliardo di dollari nella costruzione di un impianto volto a produrre 150.000 auto all’anno con la creazione di 5.000 posti di lavoro, in massima parte da destinare al mercato europeo.

Ma le cose non finiscono qui perché, se un dazio tira l’altro, un investimento estero fa altrettanto. Così altri produttori cinesi sono pronti a insediarsi in suolo anatolico. Spetterà alla prossima Commissione europea tornare sul tema della politica industriale e di quella commerciale con la Cina. Non perseguiamo cose inconciliabili.

Maggiori dazi penalizzano il consumatore, sono aggirabili con gli investimenti esteri. Insistiamo sui nostri vantaggi comparati, non rinunciamo a tanta competitività, per di più quando questa è così rilevante per l’occupazione e la crescita economica.

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