Giustizia e ponte sullo Stretto, scintille tra destra e magistrati

Proprio nelle ore in cui il centrodestra al Senato approvava definitivamente la riforma della giustizia più avversata dalla magistratura, il governo subiva un clamoroso stop dalla Corte dei Conti sul progetto di opera pubblica più importante della legislatura: il ponte di Messina.
La coincidenza autorizza i peggiori pensieri da una parte e dall’altra. Meloni e Salvini hanno protestato con veemenza per l’«invasione di campo» da parte dei giudici che «vogliono decidere loro la politica delle opere pubbliche», e avanzato il sospetto: «Non vorremmo che fosse una vendetta per la riforma sulla separazione delle carriere». Di contro l’Anm bolla il governo così: «È la prova che i giudici vi vanno bene solo quando decidono come volete voi». Le opposizioni seguono a ruota, come da copione, il sindacato delle toghe: «Ecco, la destra vuole i pieni poteri».
La decisione della Corte dei Conti è un grave danno per il Paese e appare una scelta politica più che un sereno giudizio tecnico. In attesa delle motivazioni, chiarisco subito che non mi sono fermato quando dovevo difendere i confini e non mi fermerò ora, visto che parliamo di un… pic.twitter.com/Q9TQoSX88U
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) October 29, 2025
E così la separazione delle carriere e il Ponte di Messina fatalmente si intrecciano in un unico ribollente calderone di polemiche che ci riportano sempre allo stesso punto, almeno dal 1992 a oggi: non c’è pace tra la destra e i giudici organizzati come non c’è distinguo tra questi ultimi e la sinistra. La battaglia che intossica la democrazia italiana prende in ostaggio qualunque decisione, ieri i centri in Albania per gli immigrati illegali, oggi il Ponte di Messina: una bocciatura giudiziaria dopo l’altra delle decisioni del governo. La destra si sente ostacolata nella sua potestà politica per un pregiudizio politico, i giudici rispondono che stanno solo facendo il loro lavoro.
E così, mentre il governo vince la storica battaglia berlusconiana sulle carriere separate tra procuratori e giudici (e si prepara al referendum), la Corte dei Conti già lavora ad un secondo probabile stop al Ponte che potrebbe arrivare in novembre: ieri si trattava delle anomalie del piano economico-finanziario, tra qualche giorno sarà messa in discussione la convenzione con la società che dovrà realizzare l’opera. E saranno ancora sospetti, ancora accuse, ancora un bailamme incomprensibile per i cittadini.
I giuristi spiegano che il governo potrebbe forzare la mano alla Corte e imporre un via libera «con riserva», ma anche che si assumerebbe una responsabilità politico-amministrativa assai gravosa e foriera di nuove possibili controversie. Da quel che si è capito alla fine della riunione d’urgenza convocata a palazzo Chigi dalla premier, per il momento non si pensa alle maniere forti, tant’è che anche i toni – stizzosissimi – del primo momento sono stati attenuati: «Aspettiamo le motivazioni della decisione, siamo sicuri di poter rispondere punto per punto» dice Salvini, con quel «punto per punto» che suona tanto come un «colpo su colpo», anche perché «il progetto va avanti, al massimo perderemo qualche mese». Però l’intenzione, almeno all’apparenza, è di evitare un’escalation, e come al solito siamo abituati a vedere dietro questa prudenza la solita, discretissima mano quirinalizia.
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