Emiliano Rinaldini, un «ribelle per amore» nella Resistenza

Ottant’anni fa, il 10 febbraio 1945, moriva sotto le raffiche di mitra di due militi fascisti nei pressi della chiesetta di S. Bernardo a Belprato di Pertica Alta un giovane maestro bresciano, appena ventitreenne. Si trattava di Emiliano Rinaldini, che dall’aprile del 1944 aveva deciso di entrare a far parte di un gruppo delle Fiamme Verdi per dare compimento alla sua scelta di diventare un «ribelle per amore». Come rievocato dall’amico Aldo Lucchese: «e parte, va in montagna, diventa in tutto e per tutto “ribelle”, “ribelle per amore”. Ribelle si vuol chiamare, non partigiano, perché Emi non parteggia per alcuno; è soltanto un ribelle all’oppressore per amore della sua Patria e della libertà della Patria».
La ricostruzione della vicenda umana di Emi Rinaldini, a partire dalla lettura del suo diario pubblicato nel 1946 dall’Editrice La Scuola con il titolo «Il sigillo del sangue» e dallo studio delle testimonianze scritte di familiari, amici e conoscenti riportate nel volume «Un ribelle per amore. Emiliano Rinaldini e il suo maestro Vittorino Chizzolini», edito da Studium nel 2022, sta contribuendo a scardinare quelle categorie storiografiche che hanno finora interpretato la partecipazione alla Resistenza come una scelta di natura prevalentemente politico-ideologica.
Il caso del maestro Rinaldini è diverso perché, sulla scia del giovane cattolico Teresio Olivelli, da lui personalmente conosciuto e apprezzato, si era ribellato in quanto animato da una forte tensione spirituale, frutto di uno stretto legame fra fede e azione e di una concezione della carità come esperienza della Verità. Visse la carica di vicecomandante del gruppo S.4 della Brigata «Perlasca» come una vera e propria forma di servitium verso Dio e verso ogni persona umana.

La forte caratura morale di Emi, l’esercizio fra la popolazione locale di una «magisterialità» sociale improntata ai principi di mediazione e di prudenza, la pratica costante della preghiera e della meditazione dell’Imitazione di Cristo, lo studio delle principali questioni sociali ed economiche da affrontare per «gettare i ponti» per una futura Italia democratica lo avrebbero fatto ricordare come un esempio di cristiano vero, capace di vivificare l’ambiente del ribellismo con un’alta nota di religiosità.
Era l’esito supremo di un processo di formazione personale avviato da tempo e maturato presso l’oratorio filippino della «Pace» e gli ambiti editoriali e apostolici animati a Brescia da Vittorino Chizzolini, caratterizzati da un modello pedagogico comune, fondato sul principio di amorevolezza cristiana e sull’impiego dei più aggiornati metodi attivi per promuovere la preparazione di personalità coscienziose, autonome e responsabili. Come fu quella del giovane Emi che, anche durante i drammatici momenti dell’arresto da parte della Guardia Nazionale Repubblicana, del duro interrogatorio e della custodia in cella con percosse e torture, fu cosciente del fatto che era giunta l’ora di aderire al piano di Dio, a costo di sacrificare la propria vita. E così fece.
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