Doppio turno, chi vuole cambiare le regole?

Il doppio turno è diventato oggetto di dibattito, in Francia come in Italia. Però molti dimenticano come nacque: in Francia, il presidente della Repubblica De Gaulle (già capo del Comitato di Liberazione nazionale) introdusse il ballottaggio (cioè la corsa a due, chiusa) per l’elezione diretta del Capo dello Stato e il doppio turno eventuale (uninominale) alle elezioni parlamentari (in base al quale, se nessuno ha il 50% dei voti più uno al primo turno, passano al secondo i più votati purché abbiano avuto una certa percentuale di consensi, quindi anche tre o quattro candidati).
Al primo turno delle presidenziali e delle legislative si vota col cuore, come si dice, ma al secondo si vota razionalmente, si sceglie (anche il meno peggio, se necessario). Quel «tradimento» evocato da Bardella nella desistenza fra le altre forze politiche dimostra, da un lato, che il partito della Le Pen non ha saputo andare oltre il suo 30-33% dei voti neanche aggregando un pezzo di gaullisti dissidenti e che l’estrema destra non ha compreso ancora come funziona il sistema elettorale.
Per colmo d’ironia, De Gaulle lo volle per ridimensionare i comunisti, perché il doppio turno taglia i candidati più estremi favorendo (indirettamente) quelli sostenuti dall’elettore di mezzo; in sintesi, «taglia le estreme», destra radicale compresa. Mitterrand, negli anni Settanta, provò invano a candidarsi all’Eliseo, per poi vincere solo nel 1981 (ed essere confermato per un altro settennato) quando riuscì ad aggregare consensi (cosa che la Le Pen, evidentemente, non sa fare al di fuori del suo pur ampio orticello elettorale).
Una volta Mitterrand cadde nella tentazione di cambiare il sistema elettorale, in occasione delle elezioni del 1986, per rafforzare proprio l’estrema destra lepenista a discapito dei gaullisti. Mal gliene incolse, perché Chirac e i suoi ebbero comunque la maggioranza e inaugurarono la stagione delle «coabitazioni» fra Presidente e Primo ministro. Mitterrand imparò la lezione e ripristinò il doppio turno uninominale, cioè quel doppio turno che, secondo il ministro degli Esteri russo Lavrov non avrebbe molto le sembianze della democrazia e manipolerebbe la volontà degli elettori (ogni commento ci sembra superfluo).
Anche in Italia qualcuno progetta di cambiare il doppio turno, che da noi si applica felicemente da trentuno anni (per tutti, perché tutti i poli hanno vinto - grillini compresi, per esempio a Parma e Roma) ma che nel 2024 ha avuto il difetto di non aver permesso a una parte politica di aggiudicarsi la maggioranza dei capoluoghi.
Così, si è subito proposto di cambiare le regole del gioco, visto che gli elettori non hanno voluto saperne di dare il 50% più uno dei voti - al secondo turno - a chi voleva vincere e non c’è riuscito: meglio abbassare la quota al 40% al primo turno. Si è detto che è perché al secondo votano meno persone, però non si è mai fatto niente per introdurre il voto elettronico e per posta, neppure alle politiche dove invece l’affluenza è stata in forte calo rispetto al 2018.
Il problema è che nelle democrazie avanzate (come per esempio quella britannica, nella quale i conservatori non chiederanno mai la proporzionale contro i laburisti anche perché prima di stavolta hanno vinto per un decennio grazie al maggioritario) le regole del gioco si condividono: se si cambiano, si cambiano insieme, non per ottenere una vittoria che potrebbe (a giudizio del popolo sovrano) essere o non essere conseguita anche col sistema che si vuole riformare.
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