Cristiani nel mirino, ma per ragioni criminali

«Perché hanno ucciso Maria? Perché non si sono limitati a depredare? Sono rimasta in ascolto al telefono per un’ora e dieci mentre gli assalitori devastavano la nostra casa. Hanno fracassato tutto. Cercavo di sentire se le nostre consorelle erano vive, speravo nella loro voce, io non potevo parlare, non sapendo qual era la situazione. Penso che uno degli assalitori si sia appropriato del telefono di Maria e se lo sia messo in tasca, senza aver fatto caso che era acceso. Lo sentivo perfino respirare».
Me lo raccontò suor Luigia Coccia, allora superiora generale delle Pie Madri della Nigrizia, più note come Comboniane. Verso le 21 del 6 settembre 2022 la loro missione di Chipene (Lurio), nella provincia di Nampula (Mozambico), venne assaltata da un gruppo di terroristi, di probabile matrice islamica. Uccisero a sangue freddo suor Maria De Coppi, 82 anni, trevigiana. La missione venne data alle fiamme. La gente si mise in marcia. Si tratta di odio nei confronti dei cristiani? Fino a un certo punto. In molte parti del mondo la religione è sicuramente un fattore divisivo; in certi Paesi i membri di alcune confessioni subiscono discriminazioni, se non addirittura persecuzioni, ma spesso questa intolleranza nasconde dell’altro.
Terra preziosa
Gli attacchi dei terroristi in Africa servono a «liberare» il territorio dai residenti, così da potersene appropriare. Ma non è la terra a interessare, quanto quello che c’è sotto. Il sottosuolo ricco di risorse fa gola a molti, troppi. Il Mozambico, per esempio, è il terzo Paese africano per riserve di gas naturale, diventate particolarmente interessanti nel 2022, quando la chiusura delle relazioni con la Russia a seguito dell’aggressione all’Ucraina, ha creato in Europa difficoltà di approvvigionamento. Ed è anche il primo Paese al mondo per i rubini. Ma i benefici non sono mai appannaggio della popolazione. Lo sanno bene i missionari. Sacerdoti, religiosi, religiose, volontari laici, che restano decine di anni nei Paesi di missione, li conoscono meglio di chiunque altro. Così come conoscono le persone, le famiglie. Vedono tutto ciò che accade. A volte vedono troppo.
Il 7 settembre 2024 saranno dieci anni da quando le suore Lucia Pulici, Olga Raschietti e Bernadetta Boggian, vennero assassinate nella loro casa a Bujumbura, in Burundi. Che cosa avevano visto? Secondo un’inchiesta di Radio Publique Africaine, erano venute a conoscenza di traffici illeciti di oro, diamanti, medicinali. La collega Giusy Baioni, che ha raccontato la vicenda nel libro «Nel cuore dei misteri», aggiunge un nuovo elemento: le lotte di potere in vista delle elezioni. In America Latina sacerdoti e religiosi vengono uccisi perché denunciano i narcos. Uno per tutti. L’arcivescovo di Guadalajara (Messico), Juan Jesús Posadas Ocampo, assassinato nel 1993 da due sicari del cartello di Tijuana.
Nella maggior parte dei casi, questi crimini vengono archiviati. Oppure si arresta il poveraccio di turno, il capro espiatorio, mentre i mandanti restano impuniti. Secondo la onlus Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), nel corso del 2023 sono stati arrestati, rapiti o assassinati, 132 tra sacerdoti e religiosi/e cattolici, in aumento rispetto ai 124 del 2022.
Il nigeriano don Udoji Julius Onyekweli, parroco di Montopoli in Valdarno, in Toscana, mi ha raccontato di essere rimasto giorni sotto shock a seguito dell’omicidio, il 25 giugno 2022, del suo compagno di seminario padre Vitus Borogo. Il 24 dicembre 2023, vigilia di Natale, centinaia di uomini armati hanno preso d’assalto più di 30 villaggi della diocesi di Pankshin, nello Stato di Plateau (Nigeria nord-occidentale), uccidendo almeno 160 persone. Plateau si trova sulla linea di demarcazione tra il nord a maggioranza musulmana e il sud a maggioranza cristiana. «Troppi gruppi sfruttano la religione per perpetrare atti criminali - dice don Udoji -. Ma non avrebbero così tanta forza se non fossero tollerati, se non addirittura spalleggiati da una parte dell’apparato governativo».
Lo Stato più popoloso d’Africa è al settimo posto nella lista World Watch dei Paesi più pericolosi per i cristiani. Ma è anche tra i dieci stati più ricchi di petrolio nel mondo e il primo in Africa. In quanto a pericolosità, il Burkina Faso non è da meno. A partire dal gennaio 2016, con l’attacco al ristorante-caffè Cappuccino nella capitale Ouagadougou, che è costato trenta morti, il Paese «degli uomini integri» si è ritrovato col terrorismo in casa.
Che oggi è concentrato soprattutto al nord, al confine con il Mali, e che ha svuotato interi villaggi cristiani come Djibo, o come Dori dove, il 25 febbraio scorso, i terroristi hanno ammazzato quindici persone della comunità cattolica di Essakane. Arrivano, uccidono, danno fuoco.
Chi può, scappa. Ho visto donne, bambini e anziani disidratati e con i piedi piagati per avere vagato per chilometri nella savana. In questi nove anni, almeno un milione e 500mila burkinabè sono sfollati. Il loro primo approdo è Kaya, centocinquanta chilometri a nord dalla capitale.
È anche l’ultima città che sono riuscita a raggiungere con una relativa sicurezza. Anche volendo tentare di andare oltre, non c’è modo di trovare un autista che ti ci porti. Monsignor Théophile Nare, vescovo di Kaya, cercando di rasserenare gli animi, mi disse: «Non è una guerra di religione. I terroristi uccidono i cattolici, ma anche musulmani e protestanti. Tuttavia, in un Paese dove le religioni diverse hanno sempre convissuto, dove le famiglie sono miste, questo clima rischia di avvelenare gli animi». Se non è guerra di religione, allora cos’è? Secondo la Ong Crisis Group l’oro, di cui il Paese è ricco, è un’ottima fonte di finanziamento per i gruppi criminali. Che se sono radicalizzati, impongono la shari’a. In Africa va così. Prima i profitti, poi il clan, e solo dopo, la religione.
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