Compensi troppo bassi: il problema è generale

Il minimo o il giusto? E come li calcoliamo? Il dibattito attorno al salario minimo in Italia si è sempre ammantato di una pesante coltre di ideologia e politica. Ed è finita, anche in Parlamento, muro contro muro.
Eppure il problema dei salari esiste. Per intenderci: pochi giorni fa a dire che sarebbe fisiologico un aumento delle retribuzioni è stato il Governatore della Banca d'Italia, Fabio Panetta, non proprio un leader da autunno caldo, ma uno che passa per essere assai rigoroso (un falco, si dice) sui conti. Lui stesso ha sostenuto, spazzando via una delle perplessità che solitamente vengono avanzate, che la crescita dei salari non innescherebbe una spirale inflazionistica, semmai diventerebbe un salutare sostegno ai consumi e alla ripresa economica. Consumi e risparmio, spesa e investimenti, diventano infatti più robusti se vengono da una platea più ampia, e non solo dai ricchi, che statisticamente stanno diventando sempre più ricchi ma non più numerosi.
L'Istat e la Caritas ci spiegano ogni anno che si allarga la platea di chi varca la soglia della povertà. Le retribuzioni, legate ad un lavoro non precario, sono la forma più affidabile per distribuire ricchezza e benessere. Ed è difficile immaginare che si possa superare l'inverno demografico – tanto per citare solo un aspetto dell'intricata questione – senza un lavoro dignitosamente retribuito, che permetta ai giovani di guardare al futuro con un minimo di stabilità, mettere su famiglia e mettere al mondo figli. I giovani sono invece i più penalizzati dal sistema lavorativo italiano. I migliori se ne vanno all’estero, o decidono loro quando e come lavorare. Ma questo meriterebbe un ragionamento che non riguarda solo gli stipendi.
L'idea di un salario minimo ha un suo fondamento ideale, se perdonate il gioco di parole. Sancisce, per norma universale, un livello sotto il quale sarebbe ingiusto andare. Ingiusto e irragionevole. Questa la convinzione che ha portato ben 22 dei 27 Paesi dell'Unione europea ad adottare un salario minimo nazionale. L'ultimo è stato Cipro. A non averlo, oltre all'Italia, sono Danimarca, Austria, Finlandia e Svezia, cioè Paesi dove la massima occupazione è una felice costante e dove, soprattutto al Nord, le retribuzioni, già consistenti, sono accompagnate da un welfare che resta tra i più elevati al mondo.
Il clamoroso divario fra le retribuzioni è uno dei temi nevralgici, anche facendo finta di non sapere quanta distanza c'è fra chi sta alla base e chi al vertice del sistema lavorativo. E senza citare il mitico Vittorio Valletta che si sentiva in dovere di spiegare perché guadagnasse dodici volte un operaio Fiat. Altri tempi, Sergio Marchionne, non molti anni dopo, tranquillamente incassava duemila volte il salario medio degli italiani. E da allora la tendenza al divario è continuata, nel privato e nel pubblico.
I nove euro che si vorrebbero stabilire in Italia come paga oraria minima, al confronto con gli altri Paesi sono nella fascia più bassa del sistema europeo. Sono pochi e diventano ancora meno con il passare del tempo, anche se l'inflazione frena. Tra coloro che avanzano dubbi sulla misura c'è chi sostiene che la quota fissata non diventerebbe il minimo ma la misura verso la quale si finirebbe per tendere.
Il salario minimo, quindi, anziché essere la base di partenza sarebbe la soglia di arrivo. Difficile dare loro torto, anche perché il panorama salariale italico è una giungla inestricabile. E sembra costruita ad arte per concedere ogni tipo di eccezione (e di scappatoia). L’ingarbuglio, alla fine, sembra quasi giustificare la marea dilagante del lavoro nero, che essendo pagato poco appare meno ingiusto se depurato da oneri fiscali e sociali.
A rendere di ardua applicazione l’idea di un salario minimo nazionale vi è poi la geografia: il Bel Paese è lungo più che largo e se al Nord la vita è cara, al Sud lo è meno, ma nel Meridione ci sono anche meno servizi e meno infrastrutture, che invece a Settentrione rendono la vita più agevole. Un salario fissato per legge solo marginalmente riuscirebbe a fare fronte alle disparità fra Paesi europei e all'interno del territorio nazionale. Rischierebbe di essere legale, ma non giusto. Questione complessa, a volerla affrontare davvero. Se invece la si sventola come bandiera (da una parte e dall’altra) allora ne discuteremo ancora a lungo.
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