Centrosinistra, un 2025 di sfide e difficili alleanze

Il 2025 delle opposizioni sarà all’insegna della ricerca di qualche forma di associazione, se non di coalizione. Le tre anime di quello che si chiama ormai impropriamente «campo largo» (centristi di Azione, Iv, Più Europa; Pd e Avs; M5s) non sembrano disposte a entrare tutte in un contenitore, tranne che in qualche caso alle amministrative.
Il test fondamentale è rappresentato dalle elezioni regionali del 2025, nelle quali il centrosinistra dovrà difendere Toscana, Campania e Puglia (forse affidando la candidatura presidenziale per il post-De Luca a un pentastellato) e provare a riconquistare le Marche (un tempo «rosse» o «rosa»). Se in Toscana senza i centristi si rischia (mentre il M5s pesa poco), al Sud Conte ha in mano la partita, perché i Cinquestelle hanno ormai un elettorato prevalentemente meridionale.
L’esito della competizione e la struttura delle alleanze farà capire se la sfida delle politiche potrà partire o se un’ipotesi di coalizione plurale e ampia sarà affondata.
Ci sarebbero anche i referendum, ma è verosimile che – in presenza di un astensionismo già strutturalmente vicino al 50% – i partiti di destra possano invitare i propri elettori a disertare le urne, rendendo vane le consultazioni promosse dal centrosinistra.
Passando ai partiti, i centristi dovranno trovare un leader indiscusso o almeno una forma di cartello unico, se vorranno sopravvivere e tornare ai risultati delle politiche 2022 (fra Terzo polo e Più Europa, circa il 10%). Non è detto che il federatore non venga da altri lidi: si parla del sindaco di Milano Sala, ma il 2025 sarà forse ancora un anno interlocutorio per costruire l’ala centrista della coalizione.
Ci sono poi il Pd e Avs: sono gli unici soggetti politici di opposizione che hanno avuto un risultato lusinghiero sia alle europee, sia alle varie amministrative in comuni e regioni. Se nel 2022 (politiche) Pd-Avs erano al 22,68% con 6,370 milioni di voti, alle europee dello scorso giugno sono saliti al 30,82% e a 7,183 milioni di consensi. In pratica, se per il rinnovo del Parlamento i due soggetti politici rappresentavano meno della metà dei voti di opposizione, oggi sono arrivati ad averne circa i due terzi.
È evidente che il perno di tutto è costituito da questi due partiti e dal raccordo con la Cgil. Pd e Avs hanno offerte politiche diverse ma convergono su temi importanti quali l’economia, l’immigrazione, i diritti civili (non su questioni estere, però la soluzione dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente dovrebbe rendere ancor più facile la coabitazione fra i due partiti) ma se il partito della Schlein prova a svolgere l’azione federatrice, Verdi e sinistra sembrano avere il compito di erodere l’elettorato pentastellato per portare nel nucleo della coalizione il maggior numero di voti possibile.
Infine, c’è il M5s, che è un cantiere in costruzione con un punto fermo e due incognite. Il primo è Conte, ormai capo indiscusso del partito, che però potrebbe trovarsi ad avere ancora a che fare con Grillo per il simbolo. I due nodi da sciogliere sono invece la collocazione (dirsi di sinistra non basta: ci vogliono politiche coerenti e alleanze, perché neppure Rifondazione comunista amava restare sola, pur differenziandosi spesso e volentieri) e il recupero di quell’elettorato che vota il partito solo alle politiche, un po’ meno alle europee, disertando però in massa alle amministrative.
Se non ci sono strutture territoriali, se il voto è altamente variabile, se le parole d’ordine che funzionavano ai tempi del governo (reddito di cittadinanza, bonus) non vanno bene quando si sta all’opposizione (quindi non si possono mantenere le promesse elettorali) è difficile prefigurare un futuro. Inoltre, Conte è un negoziatore rigido, che ama porre veti e punta al massimo, pronto a rovesciare il tavolo. Sarà un 2025 non facile per il centrosinistra.
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