Quando rugby, tennis e basket rubano il trono al «re calcio»

Gianluca Barca
Gli interessi, come l’oscillare di un pendolo, cambiano con i tempi e la storia
Jannik Sinner - © www.giornaledibrescia.it
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Del Brescia sappiamo, purtroppo, tutto, o quasi. L’Inter ha perso la finale di Champions 5-0, il più alto scarto mai subito in una finale delle coppe europee. E l’Italia è stata battuta 3-0 a Oslo mettendo a repentaglio ancora una volta la qualificazione ai Mondiali. Eppure c’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico, oggi nel panorama dello sport, non solo a livello locale. 

Brescia festeggia per la prima volta la conquista da parte di una squadra cittadina della finale del campionato di basket e due italiani, Sinner e Musetti sono arrivati in semifinale a Parigi, non accadeva dal 1960, vincitore Nicola Pietrangeli, semifinalista Orlando Sirola. Sull’onda di questi successi i circoli giovanili di tennis hanno visto un aumento delle iscrizioni del 35% nell’ultimo biennio.

Gli interessi, come l’oscillare di un pendolo, cambiano con i tempi e la storia: lo scudetto del rugby è di cinquant’anni fa e oggi il basket scalda gli entusiasmi dei bresciani assai più del calcio, la cui storia negli ultimi anni è stata violentata da, diciamolo, l’unico che si è preso la briga di rilevare un club da cui gli imprenditori bresciani da tempo immemorabile stanno alla larga.

Poco dopo essere arrivato in Italia, ai tempi dell’Inter, Josè Mourinho disse in una delle sue tipiche interviste provocatorie che agli italiani non piace il gioco del calcio, piace «parlare di calcio». Le televisioni, locali e non, sono piene di gente che a proposito del pallone rotondo, discute di tutto e di più. Ma a sentire i tecnici più qualificati, ultimo l’altra sera il povero Spalletti, dagli oltre settecentomila tesserati dei settori giovanili non esce un ragazzo capace di dribblare l’avversario. Non un Yamal, non un Nico Williams, non un Doué, non un Musiala, un Sanè, un Dembelé. Peraltro tutti spagnoli, tedeschi, francesi di seconda generazione. Il referendum, testé tenuto, ha detto che la stragrande maggioranza degli italiani non ha piacere che agli stranieri sia concessa la cittadinanza in modo tropo facile e quindi va bene così.

La provincia di Brescia, meno di un anno fa, è stata alla ribalta per il numero di medaglie conquistate alle Olimpiadi di Parigi. Vuol dire che lo sport è di casa in questa città e nei suoi territori limitrofi. Non lo sono le ambizioni calcistiche, una disciplina che ormai travalica i confini atletici per sconfinare apertamente in quello del business, dello spettacolo e della finanza internazionale: l’Inter è di proprietà di Oaktree un fondo statunitense, quello del Milan si chiama RedBird Capital Partners, il Psg campione d’Europa è di Nasser Ghanim Tubir Al-Khelaïfi, presidente fra l’altro del fondo sovrano Qatar Investment Authority, e persino il 55% dell’Atalanta dei miracoli è passato di recente dalla famiglia Percassi a una cordata di americani. Non dovrebbe stupire pertanto che l’imprenditoria bresciana, poco incline agli eccessi e molto legata alle proprie conoscenze e alle radici locali (ofelè fa el to mesté...) stia tendenzialmente alla larga da un mondo in cui è facile affondare.

E poi c’è il Como, dove i fratelli Hartono, due tra gli uomini più ricchi del mondo, hanno deciso di mettere le basi per un’operazione di eco mondiale sfruttando l’appeal del lago e invitando alle partite gli attori più famosi del jet set internazionale. A Wrexham (Wrexham!!) cittadina mineraria del nord del Galles, la squadra locale è stata acquistata dall’attore americano Ryan Reynolds che in tre anni di promozioni consecutive l’ha portata alle soglie della Premiership. Chi ha i soldi cerca visibilità e un terreno fertile per creare spettacolo, pretende di poter mettere mano agli impianti, renderli moderni e confortevoli, con poca burocrazia e possibilmente nessun ostacolo. Tantomeno dalle piazze e dai suoi tifosi. E gestire tutto questo, nel rispetto degli interessi di tutti, è molto, molto complicato.

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