Bonum est discipulos Latinam linguam in schola media discere, sed quindecim fines nimii sunt

Molti ne parlano, tutti grazie all’intelligenza artificiale possono tradurlo, in pochi lo conoscono. Eppure «conoscerlo» è ciò che fa la differenza davvero. Il latino è tornato a fare notizia, in cronaca, in seguito alla proposta del ministro all’Istruzione, Giuseppe Valditara, di introdurlo come materia facoltativa per chi frequenta le scuole medie. Un’indicazione diventata operativa e per la quale abbiamo chiesto un commento a chi questa «lingua conclusa» la conosce bene, il professore bresciano Gian Enrico Manzoni, che ne ha scritto sul Giornale in edicola venerdì 14, mentre qui ne riportiamo un’ampia sintesi scritta di suo pugno. In latino.
In hac sede de rebus novis quae ad Latinam linguam pertinent tantum dicimus, id est de libera unius horae octavo quoque die adiunctione per duos ultimos annos scholae quam mediam appellamus. Hoc circumscribimus, quia in temporibus recentibus nonnullas enarratorum generaliter sententias de Latina lingua legimus, id est de hodierna huius studii ratione. Etiam Brixiae hanc opportunitatem nuper habuimus, cum Certaminis Brixiensis praemia persoluta sunt.
In “Praescriptionibus publicis” haec Latinae linguae adiunctio pro grammaticae institutione proponitur, “ad conscientiam historicae congruentiae quae Italicam linguam cum Latina coniungit”: idem sentimus, immo iudicium hoc idoneum est ut studium futurum in schola agatur ad Latinae linguae exitum in Italicam inveniendum. Latina lingua multas res explicat de Italica, ideo instrumentum adiunctivum ut lingua nostra recte utamur praebet. Ergo magni pretii sunt animi intentiones erga verborum cognitionem et, pro historia et litteris, studium illius antiqui aevi in hodierni aevi comparatione optamus, vestigando res continuas et illas intermissas, insistendo sive multis rebus iisdem, sive ineluctabilibus discrepantiis. Ideo bonum est nos ad linguae nostrae origines appropinquare ut “meliorem grammaticae et Italicae linguae constructionis scientiam paremus”.
Non desunt tamen in his “Praesciptionibus publicis” nonnullae partes quae ambiguae sunt. Repeto enim nimiam enumerationem cognitionis finium, quos discipuli post tertium scholae mediae annum discere debeant. Enumerantur cum his verbis prorsus quindecim fines: “cognoscere, recognoscere, uti, condere, intellegere”...paene omnia, non solum litterarum nomina et locutionem et primas duas declinationes, sed etiam Latinae linguae progressionem eodem tempore et per tempus, et Latinas locutiones in Italica Constitutione et ipsum Latinae linguae usum in monumentis historicis, litterariis et iuridicialibus. Melius est fines modicos, sed ad momenta rerum referentes, proponere, qui apti ad discipulorum aetatem et ad dispertita scholae tempora sint.
Come abbiamo scritto in premessa, chi volesse tradurre questo articolo può trovare gli strumenti tecnologici per farlo, mentre coloro che il latino davvero lo conoscono possono cimentarsi da sé, apprezzandone struttura e finezze. Per tutti gli altri, qui sotto aggiungiamo il testo del commento pubblicato venerdì 14 marzo sul Giornale di Brescia, da cui la parte in latino costituisce un estratto.
Sono state da poco pubblicate dal Ministero dell’Istruzione le nuove “Indicazioni nazionali” per la scuola secondaria di primo grado; così, dopo mesi di annunci e interviste anticipatorie, adesso abbiamo un testo ufficiale sul quale fare le nostre riflessioni, possibilmente al di fuori delle tifoserie preconcette pro e contro. Parliamo in questa sede solo della novità che riguarda il latino, ovvero dell’introduzione di un’ora settimanale facoltativa negli ultimi due anni della scuola che chiamavamo media. Lo precisiamo perché nelle ultime settimane si sono letti alcuni interventi di vari commentatori a proposito del latino in generale, cioè sul senso o meno di questo studio oggi: un dibattito ricorrente, ogni volta che si ritorna a parlare della lingua di Roma. A Brescia ne abbiamo avuto un’occasione recente, durante la premiazione del Certamen Brixiense.
Nelle Indicazioni questo inserimento del latino viene presentato in funzione dell’educazione linguistica, per “rafforzare la consapevolezza della relazione storica che lega la lingua italiana e quella latina”: è un principio condivisibile, anzi opportuno nell’indirizzare il futuro lavoro scolastico alla scoperta della ricaduta che il latino ha sull’italiano. Conosciamo le carenze generali odierne nell’uso del lessico, dell’ortografia, della grammatica e sintassi della nostra lingua: il confronto col latino può risultare utile per contrastarle. Il latino spiega molto dell’italiano, perciò fornisce uno strumento in più nell’utilizzo corretto della nostra lingua. Quindi vanno bene le attenzioni alla padronanza dei vocaboli e, dal punto di vista storico e letterario, è auspicabile lo studio di quel mondo antico in rapporto all’oggi, nella ricerca della continuità e della discontinuità, sottolineando ora le identità (molte), ora le differenze (inevitabili). Perciò è bene avvicinarci alla nostra origine linguistica per “preparare a una migliore conoscenza della grammatica e sintassi della lingua italiana a partire dalla base grammaticale latina”. Risulta opportuno anche il confronto con alcune lingue straniere moderne, confronto che è inevitabile con le lingue neolatine, ma che è interessante anche per differenza con quelle che non lo sono.
Non mancano però in queste Indicazioni alcuni elementi che inducono alla perplessità. Mi riferisco alla esagerata elencazione degli obiettivi di apprendimento e quindi delle conoscenze che sarebbero da acquisire al termine della classe terza. Sono elencati ben quindici obiettivi, introdotti dalle formule di “conoscere, riconoscere, usare, istituire, comprendere”… un po’ di tutto, non solo l’alfabeto, la pronuncia, le prime due declinazioni o le forme verbali più semplici, ma anche la dimensione sincronica e diacronica del latino, i latinismi presenti nella Costituzione, addirittura la funzione del latino nella redazione di documenti storici, letterari e giuridici, ecc. Ne emerge un senso di esagerazione che fa apparire come velleitario questo insieme di richieste, in alternativa al quale sarebbe meglio indicare obiettivi più modesti ma realistici, certamente condivisibili se proporzionati all’età degli alunni e al monte ore previsto.
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