Anno nuovo: per il centrodestra un 2025 di prove, riforme e bilanci

A metà legislatura sarà tempo di tirare le somme: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni dovrà gestire la Lega e sarà misurata sulla politica internazionale
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Il 2025 sarà un anno molto importante per la maggioranza di governo e per la coalizione. In primo luogo, perché si arriverà a metà legislatura, quindi sarà tempo di bilanci, ma soprattutto si avranno alcuni «test di medio termine» che serviranno a capire se Meloni e i suoi alleati saranno in grado di affrontare con slancio e serenità la parte restante della legislatura, forti di un consenso popolare non scalfito dalle asperità che ogni azione di governo presenta (e che, spesso, corrodono l’immagine e minano la stabilità degli Esecutivi). Ci sono tre riforme fondamentali per la destra che si tengono fra loro, unite da un legame indissolubile: se viene meno una, crollano le altre (e la coalizione).

La vera prova sarà sull’autonomia, già ridotta a brandelli dalla Corte Costituzionale e forse – per il poco restante – a rischio di una prova referendaria (per salvarsi dalla quale, tuttavia, basterà far mancare il quorum), perché in tema di giustizia Forza Italia ha la sua bandierina da sventolare e sul premierato i rallentamenti sono soprattutto tattici (Meloni non vuole fare la fine di Renzi, quindi punta ad un’approvazione entro questa legislatura, per poi fare l’eventuale referendum costituzionale nella successiva, dopo le elezioni politiche del 2027).

Se ci fossero problemi sull’autonomia la Lega potrebbe agitarsi parecchio, perché i presidenti della Lombardia e del Veneto (soprattutto Zaia, a fine mandato e verosimilmente pronto a ricoprire un ruolo di vertice nel partito) sono disposti a fare le barricate, riportando in auge quella «questione settentrionale» mai sopita nel Carroccio e che ora può seriamente indebolire la leadership di quel Salvini che ha sterzato a destra verso il sovranismo nazionalista (non padano, ma italiano).

Il più tranquillo, nel 2025, dovrebbe essere Tajani. Forza Italia prosegue la sua lenta marcia per il graduale recupero del voto moderato e per il consolidamento del secondo posto – in termini di consensi – nella coalizione. Con due partiti di destra in maggioranza (anche se Meloni guarda con interesse all’elettorato moderato, che in parte ha acquisito nel 2022) gli azzurri sanno di avere praterie a disposizione, soprattutto se gli ex «competitori» del Terzo polo resteranno come ora indeboliti e divisi.

C’è poi la premier, che nel 2025 dovrà dimostrare di sapersi misurare con un’amministrazione americana diversa (intanto, ha già messo buone basi per un proficuo rapporto con Trump) e con l’opportunità di inserirsi nel vuoto di potere europeo lasciato da Francia e Germania, per porsi come referente di un nuovo patto euroatlantico. Il tutto potrebbe essere agevolato dalla soluzione delle crisi russo-ucraina e israelo-palestinese, che disinnescherebbero anche qualche «scarto» leghista sulla linea del governo.

Se l’economia sarà un banco di prova difficile per Meloni (nel 2025 bisognerà onorare qualcuna delle costose promesse elettorali), le elezioni regionali potrebbero invece regalare soddisfazioni. Infatti, si voterà in sei regioni, una a statuto speciale (la Valle d’Aosta, che è pressoché fuori dalle mire dei poli perché ha un suo sistema politico locale) e cinque a statuto ordinario. Fra queste, la destra governa il Veneto (dove FdI vuole un suo candidato, scontrandosi con la Lega; in ogni caso, la regione è «blindata» e non contendibile) e le Marche (col presidente di FdI che verosimilmente sarà ricandidato; qui, però, la partita è più aperta).

Il centrosinistra, invece, sarà sfidato nella roccaforte Toscana (più solida), ma anche in Campania e Puglia (dove gli uscenti non potranno essere ricandidati; qui la gara vede il centrosinistra rischiare di dover cedere una regione alla destra). In sintesi, il governo, nel 2025, non rischia, ma il fattore Salvini potrebbe dare qualche problema a Meloni.

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