Addio Assad: i nuovi scenari di (in)stabilità in Siria

La Siria si appresta a vivere un un’altra evoluzione lessicale ma soprattutto politica: i ribelli presto diverranno forza di governo
Majdal Shams, sostenitori dell'opposizione festeggiano la caduta di Damasco nelle mani dei ribelli - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Majdal Shams, sostenitori dell'opposizione festeggiano la caduta di Damasco nelle mani dei ribelli - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Da «Wahhish», bestia o selvaggio, a «Assad», leone.  Sta tutta in questa evoluzione lessicale, tipica della tradizione araba comune di trarre nomi da animali per esprimere qualità personali o metaforiche, la storia recente del potere siriano.

Un cambiamento nel cognome di questa famiglia, che avrebbe guidato il Paese quasi per 55 anni, e che fu attribuito al padre di Hafez al-Assad, quale merito per essersi distinto come pilastro della società del piccolo villaggio a maggioranza alawita, nei pressi di Latakia. Hafez, salito al potere nel 1970 con la «rivoluzione correttiva», e che diverrà noto in tutto il Medio Oriente con l’appellativo di Leone di Damasco, sembrò perpetrare anche a livello nazionale le qualità di buon governo incarnate dal padre. In realtà il regime che aveva rimosso era così detestato che qualsiasi alternativa fu percepita come un sollievo. Allora come oggi.

Esattamente ciò che la popolazione siriana sta manifestando in queste ore, accogliendo con senso di liberazione le truppe islamiche ribelli, entrate a Damasco dai sobborghi sud-orientali e dando vita alle prime manifestazioni di quella teatralità tipica di ogni cambio di regime violento: l’abbattimento delle statue.

L’evoluzione

La Siria si appresta a vivere un un’altra evoluzione lessicale ma soprattutto politica: i ribelli presto diverranno forza di governo. Molte le ipotesi su quali potranno essere il futuro della nazione e le sfide che Hayat Tahrir al-Sham (HTS) dovrà affrontare.

Circa le prime si prefigura una trasformazione radicale del sistema: da un governo ideologicamente socialista, così come i precetti del Partito della Resurrezione araba e la Costituzione, almeno fino al 2012 stabilivano, ad uno Stato teocratico o comunque fortemente ispirato alla religione. Nelle aree di Idlib e di Aleppo si è assistito a un processo di consolidamento e di istituzionalizzazione della governance.

Le aree sono amministrate da un Governo di Salvezza Nazionale, che cerca di acquisire una reale base di supporto popolare, garantendo stabilità, attraverso l’applicazione per ora «moderata» della sharia, ma soprattutto migliori condizioni di vita, tanto da rappresentare un polo di attrazione per i siriani in cerca di salari più alti e di opportunità. Esiste già un efficiente sistema di riscossione delle imposte e le transazioni economiche vengono fatte in dollari o in lire turche, a garanzia delle stesse e, un domani, per attrarre investimenti dall’estero, che saranno fondamentali per la sopravvivenza del futuro Stato.

Si prefigura già una presa di posizione politica ben definita che guarda alla Turchia come nuovo nume tutelare, privando di fatto la Russia e l’Iran di una fondamentale base nel Vicino Oriente, segnando di fatto la rottura di quella Mezzaluna sciita tanto cara a Teheran per la sua politica di influenza. La Siria ritornerà a essere retta da una élite sunnita, così come lo è il 75% circa della sua popolazione, con un cambio di rotta radicale e di allontanamento confessionale, oltre che politico dagli Ayatollah e da Hezbollah.

Le sfide

Le sfide da affrontare saranno molteplici sia di carattere interno che, almeno per ora, regionali. Le prime riguardano l’oggettiva frammentazione etno-politica dello Stato, con una cospicua parte del Paese sotto il controllo dei Curdi del Rojava.

L’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est sebbene non riconosciuta internazionalmente è già una realtà politica conclamata, con le Forze Democratiche Siriane, alleanza militare composta da varie milizie, a protezione della stessa. Dovrà essere valutata nel futuro se vi saranno sacche di resistenza del regime alla nuova compagine statuale, ma visto che l’Esercito di Assad non ha opposto resistenza alcuna ai ribelli islamisti sembra si possa escludere questa ipotesi.

Il vero banco di prova sarà la gestione delle città pluriconfessionali e multietniche, come Aleppo, così come quella delle regioni sciite. Qui l’Iran potrebbe costituire gruppi armati antigovernativi a protezione dei propri interessi e nel tentativo di mantenere aperto un corridoio importante per l’afflusso di armi a Hezbollah che ora è compromesso.

La politica settaria confessionale anti-sciita di Hayat Tahrir al-Sham potrebbe fornire a Teheran l’occasione per un intervento a difesa delle comunità sciite e alawite residenti principalmente sulla costa anche con l’impiego diretto dei Pasdaran, garantendosi, con l’aiuto russo, il controllo di queste aree logisticamente strategiche, il ché aumenterebbe il rischio di instabilità e di frammentazione del Paese. Israele tornerà invece a fare delle alture del Golan una zona cuscinetto, a protezione della propria sicurezza.

Molte, dunque, le questioni che il vaso di Pandora siriano ha dischiuso. Dalla loro risposta dipenderà la stabilità di questo quadrante e il nome che la tradizione araba assegnerà al nuovo possibile leader, Abu Mohammad al-Jolani.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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