Un giovane cassiere alla città mercato

Nell’estate del 1994 lavorai per alcuni mesi come stagionale alla Città Mercato. Aperta nel 1975, ovviamente a Roncadelle, era un tempio dello shopping ante litteram, come direbbe chi parla bene. Quell’antenato dei moderni centri commerciali era un luogo mitico, scolpito nell’immaginario collettivo.
Mia zia raccontava (e racconta tutt’oggi) che la neve copiosa caduta nel gennaio del 1985 venne accumulata nel parcheggio della Città Mercato: a luglio ce n’era ancora. Figuratevi con che emozione mi apprestavo a lavorare proprio lì. La selezione era molto rigida, io puntai tutto sulla competenza: mi manda il parroco, dissi. Preso.
I maschi venivano destinati al magazzino, e alla sistemazione delle corsie, le femmine alle casse. Io venni destinato alle casse, non era mai accaduto che un uomo fosse destinato a tale mansione. La direttrice del supermercato giustificò la scelta dicendo che avevo una naturale predisposizione a interagire con le persone, ero un amabile conversatore con una innata empatia verso il prossimo. Ero un cialtrone, insomma.
I camici rossi delle cassiere avevano ovviamente una vestibilità da donna, ma non potevo usare quello blu da magazziniere. Misi quello rosso come le altre. L’esperienza fu entusiasmante. Alla mia cassa si creavano code lunghissime, la cortesia del servizio richiedeva il giusto tempo. Oggi è tutto cambiato, tutti abbiamo fretta, ci sono le casse automatiche, tutto è spersonalizzato. Allora c’era serenità, amabilità. Un cliente, dopo mezz’ora di attesa, mi disse: la spesa dovresti pagarla tu per il tempo che ho perso. C’era quasi sempre serenità, quasi sempre amabilità.
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