Le margherite della discordia

Adoro la nebbia, ammanta elegantemente le nostre terre e crea un’atmosfera magica e financo fatata. Ti abbraccia romanticamente mentre cammini, avvolge l’aria come una morbida seta. La nebbia non è per tutti, è solo per veri intenditori.
Sale dai campi percorsi da sinuose rogge e raggiunge le case di persone che l’accolgono ospitali. Non è certo un caso che la nebbia non arrivi mai in città, e se proprio ci si azzarda è solo per fugaci apparizioni, la gente dei centri storici non può capirla.
La nebbia, come Cesare Pavese, sa bene che solo il paese è quel luogo dove non ti senti mai solo. L’inverno che ci accingiamo a lasciarci alle spalle è stato nebbiosamente generoso. Non capitava da tempo. L’abbiamo salutata e l’aspettiamo il prossimo autunno.
Cambio di stagione
Intanto le giornate si sono fatte miti, le prime margherite si sono vanitosamente aperte ai primi raggi di caldo sole. Mal gliene incolse. Alcune di loro sono finite addirittura sulle pagine dei giornali, non per apprezzarne la mite bellezza, ma per additarle (con la loro fioritura a febbraio) come simbolo nefasto dei cambiamenti climatici. E qui finisce la poesia.
Hai voglia a spiegare (tu che di primavere ne hai viste a decine, e che oltre all’ortaglia da sempre pratichi amorevolmente il giardinaggio) che da sempre ai primi tepori le margherite sbocciano. Quest’anno poi le piogge copiose le hanno rinvigorite, loro erano quindi toniche e pronte più che mai. Niente, perché la questione non è puntare il dito contro i cambiamenti climatici (che ovviamente sono realtà), ma far diventare tutto cambiamento climatico. Ed è subito ottusa tifoseria, o di qua o di là. M’ama non m’ama, m’ama. Non m’ama.
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