La nobile vanga nella terra bassa

Francesco Alberti
Da nove anni l’appezzamento di mio nonno è nelle mie mani. Quest’anno mia nonna ha deciso di non aiutarmi più e ho chiesto aiuto a un amico
Un ragazzo si prende cura dell'orto - Foto Unsplash
Un ragazzo si prende cura dell'orto - Foto Unsplash
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Diceva mio nonno che la terra è bassa. La sua non era una banale constatazione di ciò che è ovvio, del resto le persone di un tempo raramente si attardavano in considerazioni inutili, anche le parole (come tutto nella loro vita) venivano valutate e centellinate. Quel suo dire che la terra è bassa era un ammonimento a chi (giovane e inesperto) fantasticava un’esistenza bucolica in campagna. Diceva che a sognare i bei tempi andati era chi quei presunti bei tempi andati non li aveva vissuti, perché lavorare la terra (appunto) richiede molta, molta fatica.

La sua origine contadina era impressa nel dna di mio nonno, per lui coltivare l’orto non era semplicemente un hobby, era mantenere vivo un legame. Pochi giorni prima di lasciarci era a vangare nel suo orto, quella mattina non stava bene ma la primavera incombeva e la terra andava preparata per la semina.

Da nove anni quell’appezzamento è nelle mie mani, sotto le supervisione di mia nonna. Quest’anno (al traguardo delle 94 primavere) ha deciso di non aiutarmi più fisicamente. Per me è stato un duro colpo, non me lo aspettavo. Non ho potuto far altro che rimboccarmi le maniche, quel dna contadino l’ho ereditato pure io diamine, è una questione di famiglia. E di orgoglio, financo di dignità. Le piogge generose di questi mesi hanno fatto crescere praticamente una foresta di erbacce infestanti. Ho però dovuto constatare che lo sforzo sarebbe stato per me improbo.

Ho chiesto aiuto a un amico, desideroso di disintossicarsi da giornate troppo virtuali. Devo dire che la vanga, strumento che rimanda ai nostri progenitori, in mani altrui è ancora più nobile.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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