Micelio

La Natura, la nostra vera casa

Diversamente da quello che crediamo, l’evoluzione di homo sapiens come specie non ha come primo obiettivo la felicità, bensì la sopravvivenza, e il nostro cervello è ancora plasmato da millenni di evoluzione su quei parametri
Un uomo nella foresta - Foto di Malte Schmidt su Unsplash
Un uomo nella foresta - Foto di Malte Schmidt su Unsplash
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Diversamente da quello che crediamo, l’evoluzione di homo sapiens come specie non ha come primo obiettivo la felicità, bensì la sopravvivenza. La felicità a tutti i costi è per lo più un concetto relativamente moderno, spinto dall’onda dei consumi e dal marketing (il marketing è per definizione l’arte di creare bisogni dove prima non ce ne n’erano).

Pensateci un attimo: anche quando pensiamo alla Natura spesso abbiamo una visione totalmente distorta, perché la nostra ignoranza sul tema e la nostra distanza dal contatto con l’ambiente naturale ne deforma i contorni.

Siamo ormai disabituati a vivere l’impatto del disconforto che la natura genera su di noi, almeno negli stadi iniziali.

Serve ovviamente tempo per potersi adattare.

L’uomo primitivo si è come svegliato in un mondo selvaggio ed ha dovuto imparare a difendersi, ed una volta ottenuto questa sensazione, solo quando si è sentito davvero al sicuro gli è stato permesso di provare piacere. Per prima cosa, perciò, il cervello primitivo ha prodotto meccanismi di difesa. Senso di pericolo, paura, allerta, aggressività sono stati evolutivamente gli istinti primordiali che ci hanno permesso la sopravvivenza, insieme a quelli della fame, della ricerca del cibo e della lotta per conquistarsi il cibo, non certo il piacere, il gusto, l’appagamento, la gioia. In una visione gerarchica dei bisogni, è normale che sia stato così. Ma oggi?

La cosa incredibile è che viviamo in un ambiente totalmente differente, eppure il nostro cervello è stato plasmato da millenni di evoluzione su quei parametri, quelli del vivere nella natura. Non penserete davvero che 50 anni di massiccia rivoluzione industriale, informatica e digitale possano cambiare così radicalmente i nostri preziosi organi pensati. Siamo ancora radicalmente orientati ed adattati all’ambiente naturale molto più di quello che immaginiamo. E questo avviene solo per una semplice ragione: la spiegazione, probabilmente, è antropologica ed evolutiva poiché per migliaia di anni abbiamo vissuto lì.

Come detto, il nostro cervello si è formato sulla paura e la sopravvivenza, ed oggi per tornare in un luogo che consideriamo «alieno» (ndr, la natura) necessita di tempo.

Ora è come se stessimo vivendo in cattività, la città è un ambiente ostile all’essere umano. Troppi, troppi stimoli e sollecitazioni. Nonostante tutte le teorie del multi-tasking, quello che noi constatiamo con frequenza è che il nostro cervello è e vuole rimanere – per stare bene – una macchina estremamente lenta. Ecco allora perché la Natura può allora essere la soluzione per molti dei nostri mali moderni. Il problema vero è che la maggior parte di noi sottovaluta i benefici di un maggior contatto con la natura, non crede che possa essere motivo di felicità e attribuisce invece quel potere allo shopping, alla TV, ai device o qualsiasi altra diavoleria moderna.

Arrivano allora molte domande: qual è la natura che fa bene? Ma quali sono questi benefici? È possibile misurarli, comprenderli e riprodurli? Tutte le persone, ad esempio, godono degli stessi benefici se poste nello stesso bosco?

Grazie alle neuroscienze abbiamo scoperto che non esiste una sola natura, ma esistono esperienze di natura diverse che originano reazioni (psicofisiche) diverse. In un periodo di profonda deriva antiscientifica come quello che stiamo vivendo, abbiamo un bisogno sempre più crescente di radicare il pensiero attraverso dati certi, scoperte, intuizione scientificamente fondate.

Anche perché, mai come ora, il crescente disagio sperimentato da moltissime persone ha necessariamente bisogno di una risposta. E questa la possiamo trovare nella nostra vera casa, che è la fuori. Ci aspetta da sempre.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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