Il rispetto per l'ambiente diventi volano economico

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Ho letto a più riprese, nelle passate settimane, sul Giornale di Brescia i dati sul consumo di territorio. Dati preoccupanti, che dicono come in questi anni - l’ultima ventina, per lo più - ci siamo «mangiati» una grande fetta di un bene non riproducibile. La natura. Un bene che dovremmo salvaguardare per lasciare ai nostri figli una eredità vera. Ma la cosa che più mi preoccupa, ad essere sincero, è che non ci limitiamo a consumare il territorio, ma spesso lo inquiniamo (o l’abbiamo inquinato). Così come inquiniamo l’aria. Non si tratta di essere ecologisti o verdi, si tratta di pensare che ormai è tempo di perseguire uno sviluppo sostenibile. Di creare ricchezza partendo dalla necessità di conservare la principale delle nostre ricchezze: l’ambiente. Io penso che disinquinamento, recupero, bonifiche potrebbero anche avere un importante impatto economico. Potrebbero essere una leva capace di creare lavoro, occupazione. Oltre che di fare nascere una nuova cultura.
Lettera firmata
 
Tutto vero. Nel Bresciano due emergenze sovrastano le altre: il lavoro e l’ambiente. Il primo manca, l’altro è malato. Non sono due temi slegati, anzi. Si accompagnano praticamente da sempre. Molti dei problemi del nostro territorio sono eredità del passato industriale, soprattutto in città. Basti pensare alle cattedrali della siderurgia dismesse nel comparto Milano oppure in via Orzinuovi, senza parlare del caso Caffaro, il più emblematico e clamoroso (non solo a livello bresciano). Sono siti abbandonati ed inquinati che pongono un duplice interrogativo.Come (e con che soldi) risanarli? Per farne cosa? Anche in questo caso la risposta è chiaramente intrecciata.
E poi ci sono i fiumi inquinati (avete presente lo stato del Mella quando scende dalla Valtrompia ancora priva di depuratore?), le falde acquifere della pianura messe in pericolo dai nitrati, gli acquedotti comunali ridotti spesso ad un colabrodo, i fontanili della Bassa quasi prosciugati. Vogliamo andare avanti? Possiamo aprire il capitolo polveri sottili (Pm10 e Pm 2.5) che avvelenano i nostri polmoni.
E poi c’è il consumo del suolo, appunto. Asfalto e cemento, strade e abitazioni. Molte volte inutili le prime e vuote le seconde. Ci ritroviamo una montagna di abitazioni invendute o sfitte, mentre l’emergenza sfratti diventa sempre più pressante. Una contraddizione insopportabile. Del resto, i Comuni hanno per tanti anni tratto sostentamento dagli oneri di urbanizzazione, lasciando campo libero ai cantieri. Qualcuno, nonostante la crisi edilizia, è ancora tentato, senza capire che - alla lunga - il danno è maggiore del beneficio.
Insomma, l’elenco è lungo. Cosa fare? Il lettore colpisce nel segno quando sostiene che si tratta di un fatto culturale. Significa cambiare visuale, abbandonare logiche passate per determinare nuove priorità. Che non si scontrano con l’economia, anzi. Basta con altro cemento vuol dire concentrarsi sul risanamento del vecchio: adeguandolo agli standard qualitativi sul risparmio energetico (altro vantaggio per l’ambiente). Significa pensare al destino delle aree dismesse, un tema che prima o poi Brescia dovrà seriamente prendere in considerazione nel suo complesso, facendo i conti con la realtà: inutile pensare a grandi progetti se non ci sono risorse (pubbliche o private), meglio ragionare sulle alternative. Sapendo che ci vorranno decenni. 
Tocca alla Politica (con la P maiuscola) fare le scelte giuste, e alla svelta. La green economy è il futuro, dicono sempre più spesso gli esperti: quello è l’orizzonte che mette insieme lavoro ed ambiente. Peccato che resti uno slogan. Un po’ ovunque, ma soprattutto in Italia dove cambiare è sempre maledettamente difficile. Ma non c’è alternativa se non vogliamo soffocare fra il cemento e i veleni. (e. mir.)

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