Domanda imbarazzante: tu sei felice?

Omar è un cittadino incallito e un imprenditore di successo dedito al lavoro, al lavoro e al lavoro. I suoi tre fratelli idem. L’unica sorella si è accomodata in un matrimonio confortevole e si gode i molteplici stimoli che la vita cittadina offre. La mentalità partenopea inculcata loro dal padre è che la famiglia debba sempre stare unita. A qualunque costo.
Nonostante il capostipite abbia girato da parecchi anni la boa degli ottanta, è onnipresente e sempre attento a controllare le ore che i figli trascorrono in azienda perché quella, dice il vecchio, «è la prima figlia e deve sempre essere al primo posto». Così è e non si discute, almeno fino al giorno del grande crack che, in questa storia, arriva pochi mesi dopo la dipartita improvvisa degli anziani genitori vittime di un incidente automobilistico. La famiglia perde i timonieri energetici, ma il DNA dei cinque figli ne porta impresso l’imprinting.
Passano i giorni, succedono cose e Omar si sente sempre più a disagio per via di una domanda imbarazzante che continua a girargli dentro: «Sei felice?» È allora che decide di osservarsi per la prima volta. «Su quel treno ci ero nato e, proprio perché ci ero nato, non sapevo di esserci – racconta –. Per me quel modo di stare al mondo era normale. D’altronde un pesce non si accorge di essere nell’acqua finché qualcuno non lo tira fuori. Avevo 59 anni, i soldi non mi erano mai mancati, così come tutti quei comfort quotidiani che la gente ti invidia ma io, nel profondo, non ero felice. Mi sono chiesto: quanti anni di buon vivere puoi sperare di avere ancora? Venti? Trenta?».
Fra lui e sua moglie non c’erano più né intimità né risate. I figli erano già indipendenti e ben sistemati nel mondo del lavoro e Omar, in quell’automatico macinare minuti fra stress e abitudini ripetitive, non ci stava più dentro. Il passaggio dalla vecchia esistenza fatta di lavoro, lavoro e lavoro al «vendo tutto e me ne vado» fu improvvisa e velocissima: in tre mesi Omar trovò una meravigliosa proprietà fronte mare in Toscana, vendette le sue quote aziendali ai fratelli e partì.
Sono passati alcuni anni da quel giorno. Omar si gode il suo paradiso insieme a Karin, la nuova compagna, e si nutre di natura, orto, tramonti, tuffi e amore. La sua scelta è stata aspramente condannata dalla famiglia di origine che a tutt’oggi considera quel suo essersene andato un oltraggio gravissimo ma Omar, oltrepassato il diktat della «famiglia sempre insieme a tutti i costi» e il processo di purificazione mente-corpo durato tre anni, ora sta bene. Bene! Ci ha messo infatti tre anni, la natura, a sanarlo. Tre anni per ripulire il suo corpo da decenni di stress e cemento. Tre anni perché i suoi occhi fossero abitati da una nuova pace.
Oggi Omar si riempie della bellezza del creato e della potenza dell’amore che esplode ovunque. Si dedica agli animali, agli alberi da frutto, alle stellate immense. Respira, finalmente. La sua casa è sempre aperta per gli amici che lo vanno a trovare e, a tal proposito, quel che è appena successo su questo fronte merita lo spazio del prossimo articolo… perché la natura è una potenza che produce miracoli. Anche in chi, ai miracoli, non crede.
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