Comprendere il valore altrui a scoppio ritardato

Rivisitare i ricordi condivisi e perduti per riscoprire ciò che in presa diretta non si è apprezzato
Lapidi di un cimitero -  © www.giornaledibrescia.it
Lapidi di un cimitero - © www.giornaledibrescia.it
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Nei nostri momenti più bui non abbiamo bisogno di soluzioni o consigli. Ciò che desideriamo è semplicemente una connessione umana, una presenza tranquilla, un tocco delicato. Questi piccoli gesti sono le ancore che ci tengono fermi quando la vita esagera». (Hemingway).

Quindi vi prego, amici, non irrompete nella mia vita con la vostra voglia di tirarmi su. Non è di questo che ho bisogno. La bomba del dolore mi è scoppiata dentro distruggendo ossa e sogni. Sono tutto rotto. Non voglio essere aggiustato. Non voglio sentirvi dire che il tempo mi aiuterà perché l’esplosivo ha distrutto anche quello. Prima sì esistevano i minuti, quelli che con lei riempivamo a volte con un sorriso, spesso litigando, ma che erano i nostri minuti, quelli che non ho più. Quindi, amici, vi prego, lasciatemi solo con lei.

Ricordi, cara, le nostre discussioni? Mi mancano anche quelle insieme ai tanti dettagli che sembravano insignificanti, come il profumo del tuo beverone a base di caffè di cicoria e latte di mandorla, io che cercavo di convertirti al caffè vero e tu? Pur di non darmi soddisfazione non ti muovevi di una virgola spacciando quella stranezza per un capolavoro del gusto. Eppure stavamo insieme lo stesso; forse ci sopportavamo ma l’amore, mi chiedo, non è anche questo? Sta di fatto che ora mi manca l’aria e, in quest’apnea soffocante, non ho voglia di nessuno che non sia tu.

L’unico sollievo è il cimitero del paese. Arrivo di mattina presto e attendo l’apertura dei cancelli per raggiungere la tua tomba e starmene lì, per ore, a chiacchierare seduto sulla sedia pieghevole che avevi comprato con la mia feroce disapprovazione. Parliamo di tutto e mi sento meglio. Qui ho scoperto il mondo dei morti e dei suoi visitatori, persone che, come me, hanno l’abitudine di venire alla stessa ora. Ci pensate voi dalle lapidi a presentarci.

«Lei è il marito di...? Sì, piacere». In molti mi conoscono. Io non so chi siamo ma, ora che insieme viviamo di ricordi, li sento vicini. Nessuno tenta di tirarmi su, finalmente. Esiste solo la reciproca presenza, un sostegno silente che mi ricorda chi sono anche quando me ne dimentico. È una società solidale che diventa anche omertosa ogni volta che all’ordine del giorno c’è l’escogitare soluzioni per apportare di nascosto modifiche alle tombe, senza incorrere nelle lungaggini della sovrintendenza.

Sto meglio? No. «Ogni notte per me è tempesta di pensieri» diceva la Merini che mi leggevi mentre continuavo a guardare la TV. Ora mi interessa anche la poesia. Lo so, come sempre a scoppio ritardato.

La verità? Non ho più voglia di vivere, ma seguo docile i nostri figli nel loro ostinarsi a prescrivermi visite mediche e diete assurde. Risolvo andando con i pochi amici rimasti in trattoria ad abbuffarmi di cibo proibito.

Questa ora è la mia vita fatta dei giorni che mi avvicinano a te. Nel frattempo sorseggio dalla tua tazza il liquido fumante di cicoria e mandorle che, mi scoccia ammetterlo, non è per niente male e leggo sul tuo libro della Merini come la morte porti con sé l'impressione di essere stati traditi da chi se ne va, come se lui o lei avesse lasciato in sospeso un lungo discorso; a scoppio ritardato, come sempre d’altronde, concordo».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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