Spina: «In Francia si erano rifatti una vita: colti di sorpresa»

Nel 2019 era stato il turno di Cesare Battisti. Oggi quello di nove terroristi che hanno seminato morte e terrore negli Anni di piombo. «Sto chiudendo il mio ciclo di tre anni in questo ruolo e non posso che ritenermi soddisfatto» racconta il generale Enzio Giuseppe Spina, che a Brescia è stato comandante provinciale dei Carabinieri. Oggi è direttore del Servizio per la cooperazione internazionale di polizia (Scip) e ha coordinato gli arresti dei terroristi latitanti in Francia.
Generale, quanto ha inciso l’aspetto politico e quanto il lavoro di intelligence? «Indubbiamente se non ci fosse stata una decisione politica e un accordo tra i due Paesi non ci poteva essere alcuna favorevole ricaduta sul piano operativo. L’accordo è stato il momento in cui la parte francese ha modificato l’atteggiamento sul tema della dottrina Mitterand. Gli arresti dei terroristi sono il risultato di un’azione di sistema del Paese. Da una parte è un’azione sul piano dei rapporti di cooperazione giudiziaria, dall’altra sul piano di cooperazione internazionale di polizia. Abbiamo fornito al Reparto antiterrorismo francese tutti gli elementi per poter intervenire con una identificazione certa degli obiettivi e una localizzazione altrettanto sicura di questi soggetti».
Che vita facevano i nove terroristi catturati nelle scorse ore? «Si erano rifatti una vita. Alcuni erano latitanti da quasi vent’anni, avevano avviato attività lavorative e relazioni familiari. Si erano integrati perché di fatto in Francia non vivevano da latitanti, ma da liberi cittadini francesi. Vivevano la loro quotidianità senza alcun condizionamento».
Quindi non si aspettavano nemmeno più l’arresto… «Probabilmente siamo riusciti a sorprenderli. È vero che c’era stato un incontro in videoconferenza tra la ministra della Giustizia Cartabia e il suo omologo francese, ma non ci sono stati prima del giorno dell’arresto altri elementi divenuti pubblici e nessun articolo di giornale. Questo avrebbe potuto consentire ai terroristi di comprendere che qualcosa stava succedendo e sono quindi rimasti decisamente sorpresi».
L'accelerata è arrivata con il Governo Draghi? «Questa che mi chiede è un’analisi politica e io mi attengo ad aspetti operativi. Posso però ricordare che nel 2019 era stato catturato Cesare Battisti dal personale del servizio che dirigo, che era andato in Brasile e poi in Bolivia a prenderlo. Anche in quel caso ci fu un atteggiamento politicamente modificato dalla parte brasiliana. Diciamo che non si è mai smesso di sperare e ad un certo punto la speranza si è tradotta in azione. Evidentemente l’incontro in videoconferenza Italia- Francia ha sbloccato tutto».
Quando rientreranno in Italia i terroristi? «Ora da parte delle autorità francesi c’è l’esame della richiesta di estradizione. Da parte della difesa dei terroristi ci sarà evidentemente un tentativo di impedire o quantomeno rallentare l’estradizione. Non sappiamo quanto potrà durare la procedura, ma speriamo possa essere la più veloce possibile. Nel caso di via libera, sarà proprio il Servizio della Cooperazione internazionale di polizia che andrà a prenderli e riportarli in patria».
Bergamin e Ventura si sono costituiti. Resta latitante solo Di Marzio. Pensate di riuscire a catturarlo? «Essere latitanti non è una cosa semplice. Servono soldi, appoggi. Non possiamo escludere che qualcuno possa ancora contare su qualche compagno di disavventura degli Anni di piombo. Ma non è facile sostenere una latitanza a lungo termine. Secondo me attende la prima fase della procedura di estradizione per capire cosa succede, tra carcere e domiciliari, a chi viene riportato in Italia».
Un pensiero non può non andare ai familiari delle vittime di questi terroristi arrestati. «Le istituzioni del Paese avevano questa grande responsabilità nei confronti delle famiglie delle vittime. Persone che avevano il diritto di vedere assicurati alla giustizia italiana, i responsabili delle uccisioni dei loro parenti».
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