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L’Oms ora attacca la Cina: «Ha nascosto i dati sul coronavirus»

L’inchiesta dell’Associated Press parla delle difficoltà da parte dell’agenzia dell’Onu ad avere i dati del contagio
Il presidente cinese Xi Jinping e il primo ministro Li Keqiang - Foto Ansa
Il presidente cinese Xi Jinping e il primo ministro Li Keqiang - Foto Ansa
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Pechino ritardò la comunicazione dei dati sul coronavirus e in alcuni casi addirittura li nascose, provocando grande frustrazione tra i ranghi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche se l’agenzia sanitaria dell’Onu continuò per tutto il mese di gennaio a lodare pubblicamente la Cina per la sua rapida risposta e a ringraziarla per aver condiviso «immediatamente» il genoma.

È quanto emerge da un’inchiesta dell’Associated Press, pubblicata sul suo sito e fondata sulla documentazione riservata dei vertici dell’Oms. Carte dalle quali viene fuori un dietro le quinte ben diverso dalla narrativa ufficiale. Le rivelazioni arrivano dopo che il presidente cinese Xi Jinping ha ribadito la tempestività delle informazioni fornite all’Oms e il taglio dei fondi all’organizzazione da parte del presidente americano Donald Trump, che l’ha accusata di essere collusa con Pechino nell’aver nascosto l’estensione dell’epidemia.

Le nuove informazioni non supportano nessuna delle due posizioni ma dipingono un’agenzia che stava tentando urgentemente di sollecitare più dati. Benché le leggi internazionali obblighino i Paesi a riportare all’Oms informazioni che potrebbero avere un impatto sulla salute pubblica, l’Organizzazione mondiale della sanità non ha poteri coercitivi e deve affidarsi alla cooperazione degli stati membri.

Secondo l’indagine dell’Ap, l’agenzia Onu più che tramare con la Cina è stata tenuta lungamente al buio, con Pechino che forniva solo le minime informazioni richieste. Ma l’Oms tentò di presentare il Dragone nel migliore dei modi, molto probabilmente per convincerlo a condividere più dettagli sul virus senza irritare le autorità e mettere a rischio gli scienziati cinesi. Tuttavia da quando il virus fu decodificato per la prima volta il 2 gennaio a quando l’Oms dichiarò la pandemia il 30 gennaio la diffusione dell’epidemia crebbe da 100 a 200 volte, ritardando la possibilità di contenere il virus, di studiare cure e sperimentare vaccini.

«Ora siamo ad una fase in cui ci stanno dando i dati 15 minuti prima che appaiano su Cctv», si lamentò in un incontro il massimo rappresentante dell’Oms in Cina, Gauden Galea, riferendosi alla tv statale cinese. Dalla cronologia degli eventi ricostruita dall’Associared press, Pechino lasciò passare almeno 9 giorni dopo che tre differenti laboratori governativi avevano mappato completamente il virus.

E il governo cinese pubblicò il genoma solo il 12 gennaio, il giorno dopo che un laboratorio di Shanghai aveva diffuso il suo sequenziamento sul sito virological.org, usato dai ricercatori di tutto il mondo per scambiarsi suggerimenti sui patogeni. Il 20 gennaio le autorità di Pechino ammonirono che il virus si trasmetteva tra persone e l’Oms inviò un piccolo team nell’epicentro dell’epidemia, la città di Wuhan, ma una commissione di esperti indipendenti decise di non raccomandare la pandemia. Quest’ultima fu proclamata solo il 30 gennaio, dopo un inusuale viaggio a Pechino del direttore generale dell’agenzia Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ringraziò profusamente la Cina senza evocare le frustrazioni precedenti.

 

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