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Coronavirus, Sars-Cov-2 circolava già a gennaio

È possibile che il virus abbia cominciato a circolare 2-3 settimane prima che venisse scoperto il paziente 1, il 38enne di Codogno
L'ospedale di Codogno - Foto © www.giornaledibrescia.it
L'ospedale di Codogno - Foto © www.giornaledibrescia.it
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È possibile che il virus Sars-Cov-2 abbia cominciato a circolare 2-3 settimane prima che venisse scoperto una settimana fa il paziente 1, il 38enne di Codogno: a suggerire quest'ipotesi, su cui stanno ora ragionando gli esperti, è l’aumento anomalo dei casi di polmonite nel lodigiano, zona focolaio dell’epidemia, segnalati dai medici della zona.

«È vero, quest’inverno c’è stata un’impennata di forme polmonari a lunghissima durata, già da dicembre», riferisce Massimo Vajani, presidente dell’ordine dei medici di Lodi. Di solito queste forme si risolvono in 10-15 giorni, ma «a me, come ad altri colleghi, è capitato di avere diversi pazienti per cui ci è voluto molto più tempo perché passassero, ben un mese e mezzo. Un tempo insolitamente lungo», prosegue Vajani. Complessivamente di forme polmonari «quest’inverno ce ne sono state tante - continua -, più del solito, anche se non sappiamo se siano state causate dal coronavirus».

Però l’aumento di queste forme polmonari più lunghe del previsto, in quella zona, per molti potrebbe essere l’indizio che il Coronavirus stesse circolando prima che emergesse il primo caso ufficiale. Un’ipotesi che, secondo l’epidemiologo Gianni Rezza dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), «non si può escludere, anche se al momento non abbiamo dati precisi sulle polmoniti nella zona».

È molto probabile, se non quasi sicuro, per Rezza, che il virus abbia iniziato a circolare nella zona già a gennaio: «se consideriamo che il primo caso è stato identificato il 21 febbraio, una settimana dopo i primi sintomi, e che c’è un tempo di incubazione di circa 2 settimane, dobbiamo tornare indietro di tre settimane e retrodatare l’inizio della circolazione del virus a gennaio». A questo punto è impossibile risalire «al paziente zero - conclude Rezza - Ormai bisogna contenere l’epidemia». 

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