Italia e Estero

Referendum, riforma dell’elezione del Csm per limitare le correnti

Il quinto quesito referendario mira a facilitare le candidature «libere» e senza politicizzazioni
Le cinque schede referendarie - © www.giornaledibrescia.it
Le cinque schede referendarie - © www.giornaledibrescia.it
AA

Il quinto quesito riguarda le norme che regolano l’elezione dei cosiddetti membri togati del Consiglio superiore della magistratura, cioè quelli che sono a loro volta magistrati, modificando in particolare le modalità di presentazione delle candidature. Il dibattito sull’organo di autogoverno della magistratura coinvolge da tempo la politica italiana, in quello che è diventato ormai un vero e proprio scontro proprio tra classe politica e magistratura. In maniera un po’ prosaica che quella che noi chiamiamo Seconda Repubblica è stata caratterizzata proprio da questo confronto serrato.

Referendum, la scheda   © www.giornaledibrescia.it
Referendum, la scheda © www.giornaledibrescia.it

La situazione

Il Csm è l’organo di autogoverno della magistratura. Ne fanno parte, per diritto, tre persone: il presidente della Repubblica, che lo presiede, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati (e sono i cosiddetti membri togati), per un terzo dal Parlamento in seduta comune (sono i componenti laici). Se oggi un magistrato si vuole proporre come membro del Csm deve raccogliere tra le 25 e le 50 firme di altri magistrati a sostegno della sua candidatura.

L’obiettivo dei referendari è arrivare a candidature individuali dei magistrati, senza il supporto preventivo di altri colleghi, nel tentativo di limitare il peso delle correnti, dopo la bufera sulle nomina al Csm che si è scatenata nella primavera del 2019. Chi si oppone mette in dubbio che serva per ottenere cambiamenti rilevanti.

Contrapposti

Se vincesse il «sì» decadrebbe l’obbligo della raccolta firme e si tornerebbe alla legge originale che dal 1958 regola il funzionamento del Csm: il singolo magistrato potrebbe cioè presentare la propria candidatura in autonomia e liberamente senza il supporto di altri magistrati e senza, soprattutto, l’appoggio delle «correnti» politiche interne al Csm (alcune sono più centriste, altre più vicine alla sinistra oppure alla destra).

L’obiettivo del referendum, dicono i promotori, è dunque ridurre il peso di queste correnti nell’individuazione dei candidati, evitare la lottizzazione delle nomine e rimettere al centro la valutazione professionale e personale del singolo al di là dei suoi diversi orientamenti politici. Chi si oppone al referendum mette in dubbio il fatto che l’eliminazione dell’obbligo di presentare le firme possa essere risolutiva rispetto alla questione delle correnti, ritenendo che il referendum intervenga su una questione minima che non porterebbe a cambiamenti rilevanti.

Icona Newsletter

@Buongiorno Brescia

La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.

Riforma Cartabia

Tre quesiti referendari su cinque trattano questioni contenute anche nella riforma della giustizia della ministra Cartabia che deve ancora essere votata al Senato: sono quelli che riguardano le modalità di valutazione della professionalità dei magistrati, la separazione delle funzioni e sopratutto le modalità di elezione dei membri togati del Csm, Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto la riforma, con l’obiettivo di ridurre il peso delle correnti interne, stabilisce che l’elezione avvenga con un sistema misto, maggioritario e proporzionale.

È un sistema elettivo piuttosto articolato che serve soprattutto a introdurre una componente di imprevedibilità nelle elezioni del Csm, accusate da anni di favorire clientelismi, lottizzazioni delle cariche, avanzamenti di carriera legati all’appartenenza politica, e in generale di compromettere la neutralità e l’efficienza dell’organo. Inoltre, esattamente come prevede il referendum, la riforma stabilisce che la candidatura non sia sostenuta da una raccolta firme e che sia individuale.

In questo caso, dunque, quesito referendario e riforma si sovrappongono. In ogni caso se la riforma Cartabia venisse votata così com’è, ma successivamente del 12 giugno, e se i referendum venissero approvati, il comitato promotore potrebbe aprire un contenzioso davanti alla Corte costituzionale per capire se la nuova legge rispetti oppure no quello che viene definito il «verso del referendum».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia