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Il re dei torroncini denuncia il pizzo: 40 arresti

La minaccia esplicita da clan legati alla famiglia Santapaola-Ercolano davanti la sede aziendale di Giuseppe Condorelli
Giuseppe Condorelli
Giuseppe Condorelli
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Una bottiglia piena di alcol etilico e un messaggio chiaro su un biglietto con una minaccia grave, anche se sgrammatica: «Mettiti a posto ho ti faccimo saltare in aria cercati un amico». È l'intimidazione fatta trovare, nel marzo del 2019, da clan legati alla famiglia Santapaola-Ercolano davanti la sede di Belpasso del re dei torroncini, Giuseppe Condorelli, diventato famoso, oltre che per la qualità dei suoi prodotti dolciari, anche per lo spot televisivo di Leo Gullotta: «cavalier Condorelli è stato un vero piacere...».

Una minaccia che non ha piegato l'imprenditore che ha denunciato il tentativo di estorsione ai carabinieri. Come avevano già fatto in altri casi simili nel passato sia lui che suo padre. L'episodio è emerso nell'ambito dell'inchiesta Sotto scacco della Dda di Catania sfociato nel blitz dei carabinieri del comando provinciale etneo con 40 arresti.

«Denunciare conviene - afferma Giuseppe Condorelli - l'ho sempre fatto con convinzione. Noi imprenditori abbiamo degli obblighi anche sociali e non possiamo venire meno a questi. Bisogna avere fiducia nelle Istituzioni e nelle forze dell'ordine. La mia vicenda personale lo dimostra. Paura? Certo c'è sempre l'alea, soprattutto quando si ha una famiglia, io ho moglie e due figlie piccole e penso a loro. Ma se si vuole estirpare questa malapianta - ribadisce - non c'è che una strada: la denuncia. Anche per il futuro della mia famiglia, della mia terra. La legalità è un presupposto indispensabile per creare economia nuova e sana. Complimenti a magistrati e carabinieri per il loro encomiabile lavoro».

Le indagini dell'operazione Sotto scacco dei carabinieri del comando provinciale di Catania ha disarticolato tre clan legati a Cosa nostra etnea con 40 persone arrestate, 10 delle quali poste ai domiciliari. Sotto il faro della Dda di Catania, riacceso nell'ottobre 2017, le attività, a Paternò e Belpasso, degli storici clan mafiosi Alleruzzo, Assinnata e Amantea e dei loro vertici legati alla famiglia Santapaola-Ercolano che gestivano in esclusiva il traffico di droga e le estorsioni nella zona di appartenenza.

Secondo diversi pentiti, ad esempio, gli spacciatori a Paternò non potevano lavorare senza pagare una tassa alla cosca Assinnata per potere esercitare la loro attività in una piazza di spaccio. Militari dell'Arma hanno anche scoperto un piano per fare arrivare ingenti carichi di cocaina dall'Ecuador, nascosta in container contenenti banane. Non è stato scoperto se è stato poi realizzato, ma è stato invece accertato che la cosca utilizzava anche come nascondiglio per la marijuana il cimitero monumentale di Paternò, dove sono stati eseguiti dei sequestri di sostanza stupefacente.

Dalle indagini dei carabinieri, ha spiegato il comandante provinciale di Catania, il colonello Rino Coppola, è emerso «un rilevante condizionamento da parte dei clan del tessuto economico locale» con «imprenditori che favorivano consapevolmente le illecite attività del clan». Per la Dda di Catania è «emblematica la posizione di Salvatore Tortomasi, titolare di una ditta per la commercializzazione di prodotti agricoli ed ortofrutticoli» che «versava denaro anche in percentuale sugli utili dell'attività di impresa che, grazie alla mafia, aveva una posizione dominante nelle attività economiche esercitate».

Altre figure imprenditoriali di Paternò in rapporti con il clan sono indicate dalla Dda in Angelo Nicotra proprietario di importanti gioiellerie, e Enrico Maria Corsaro, che, secondo l'accusa, avrebbero «nascosto la provenienza illecita di beni e denaro». Scoperto anche un sodalizio specializzato, con l'aiuto di consulenti del lavoro compiacenti, nella truffa all'Inps per fare ottenere indebitamente l'indennità di disoccupazione agricola a falsi braccianti che ricevevano 20 euro al giorno per la loro complicità.

Il danno all'Ente previdenziale è stimato in oltre 85.000 euro. Dalle indagini è emerso anche che il boss Santo Alleruzzo, che sta scontando una condanna all'ergastolo per duplice omicidio, mafia e traffico di droga a Rossano (Cosenza), approfittava dei permessi premio per ritornare nel paese d'origine, Paternò, dove durante di summit mafiosi continuava ad impartire ordini e direttive per la gestione degli affari del clan.

La droga interessava anche gruppi criminali di Messina dove la polizia ha sgominato due organizzazioni di trafficanti attive nel rione Giostra gestite su base familiare con interi nuclei coinvolti. L'inchiesta della Procura dello Stretto ha accertato oltre 1.000 consegne di dosi e scoperto una centrale dello spacciò realizzata in edifici di case popolari.

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