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Ex Ilva, 20 e 22 anni ai fratelli Riva e impianti confiscati

La Corte d'Assise di Taranto ha anche inflitto tre anni e mezzo di reclusione all'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola
Fabio Riva nel 2015, quando fu prelevato all'aeroporto di Fiumicino - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Fabio Riva nel 2015, quando fu prelevato all'aeroporto di Fiumicino - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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La Corte d'Assise di Taranto ha condannato a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell'Ilva, tra i 47 imputati (44 persone e tre società) nel processo chiamato Ambiente Svenduto sull'inquinamento ambientale prodotto dallo stabilimento siderurgico. Rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. La pubblica accusa aveva chiesto 28 anni per Fabio Riva e 25 anni per Nicola Riva. È stata inoltre disposta la confisca degli impianti dell'area a caldo che furono sottoposti a sequestro il 26 luglio 2012 e delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva Forni Elettrici. Condannato a 17 anni e sei mesi l'ex consulente della procura Lorenzo Liberti. 

Tre anni e mezzo di reclusione sono stati inflitti all'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola per il presunto disastro ambientale negli anni di gestione della famiglia Riva. I pm avevano chiesto la condanna a 5 anni. Vendola è accusato di concussione aggravata in concorso, in quanto, secondo la tesi degli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull'allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far «ammorbidire» la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall'Ilva. Dura la reazione di Vendola: «Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità. È come vivere in un mondo capovolto, dove chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l'ombra di una prova. Una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare colpisce noi, quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all'avanguardia contro i veleni industriali. Appelleremo questa sentenza, anche perché essa rappresenta l'ennesima prova di una giustizia profondamente malata».

«Si tratta di una sentenza storica per il popolo inquinato di Taranto - ha commentato Legambiente - che certifica che nel capoluogo ionico c'è stato un disastro ambientale, causato dalla proprietà dell'impianto, che la nostra associazione cominciò a denunciare già negli anni '80 quando lo stabilimento era ancora pubblico, e che ha procurato tanti malati e morti tra dipendenti e cittadini. Una sentenza così pesante conferma la solidità, da noi sempre evidenziata, delle perizie epidemiologica e chimica disposte dal gip Todisco. Con questa sentenza di primo grado possiamo dire che eco giustizia è fatta, e che mai più si deve barattare la vita delle persone con il profitto ottenuto nel totale disprezzo delle leggi».

A Legambiente, che era tra le parti civili al processo (come già lo era stata, in assoluta solitudine, per precedenti processi contro Ilva nel passato) sono state riconosciuti provvisionali di 20mila euro per l'associazione nazionale e 50mila euro per Legambiente Puglia e circolo di Taranto, tra le più alte disposte dai giudici.

 

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