Italia e Estero

Dall'Nba ad Open Arms: Marc Gasol tra i soccorritori di Josephine

Il campione dei Grizzlies era sul gommone che ha tratto in salvo e condotto Josephine sulla nave di Open Arms
Il giocatore di basket Marc Gasol durante il recupero di Josephine - Foto tratta da Twitter © www.giornaledibrescia.it
Il giocatore di basket Marc Gasol durante il recupero di Josephine - Foto tratta da Twitter © www.giornaledibrescia.it
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Dal parquet dei campi di basket dell'Nba più blasonati alle acque decisamente inquiete del Mediterraneo. Quello dei migranti e delle tensioni politiche tra Italia, Libia, Francia, Spagna e le Ong che si occupano del salvataggio di chi tenta per mare di lasciare l'Africa e raggiungere l'Europa. Con ogni mezzo.

C'è una foto che in queste ore fa il giro dell'Europa. È Josephine, superstite dell'ultimo naufragio di migranti in acque libiche, una storia scritta negli occhi. Ma dietro quella donna ci sono tante braccia tese e un'altra storia, opposta e vicina. È quella di Marc Gasol, asso spagnolo del basket professionistico Usa da 20 milioni di dollari di ingaggio l'anno: finita l'Nba ha deciso di salire sulla Open Arms, nave della Ong iberica, per salvare vite nel Mediterraneo.

«È incredibile che così tante persone vulnerabili vengano abbandonate alle loro morti in mare», ha twittato il 33enne centro dei Grizzlies di Memphis, sotto la foto che lo ritrae col caschetto rosso e il salvagente indosso mentre solleva la barella con su Josephine, dal gommone all'Open Arms. «Perchè sono qui? Volevo venire già un anno fa, ma c'erano gli Europei e non ho potuto. I rischi che corre un professionista Nba in queste operazione di salvataggio per me passano in secondo piano», ha raccontato a El Pais, da bordo della nave Aster, Marc che col fratello Pau ha portato la Spagna in Nba.

«Ricordo che la foto del bimbo siriano morto sulla costa turca nel 2015 mi provocò un senso di rabbia, capii che tutti noi dobbiamo fare la nostra parte per fermare queste tragedie. È stato allora che ho incontrato Ascar Camps di Open Arms: la sua convinzione mi ha impressionato, ha messo a disposizione di questa causa tutte le sue risorse economiche, logistiche e personali per aiutare queste persone. Ammiro questo tipo di persone, che fanno qualcosa, che non aspettano che gli altri lo facciano».

Gasol ha confermato la versione dell'Ong sulla dinamica del naufragio di ieri, che ha visto - secondo la ricostruzione resa proprio da Open Arms - una donna (Josephine) tratta in salvo solo grazie alle ricerche della nave su cui era Gasol, e due corpi - quelli di un'altra donna e di un bimbo - recuperati privi di vita. «Lunedì - il suo racconto - avevamo ascoltato conversazioni tra una motovedetta libica e una nave mercantile che segnalava una barca in pericolo: poi abbiamo appreso che la motovedetta aveva riportato i migranti in Libia e distrutto la barca. Ma hanno lasciato almeno tre persone abbandonate».

Seguendo il protocollo di ricerca, all'alba di ieri «abbiamo individuato un gommone semisommerso, l'acqua era piena di benzina: sembrava non ci fosse nessuno, poi abbiamo visto questa donna appesa solo con un braccio a un pezzo di legno, e poco più in là un'altra donna e un bambino. Morti. È una situazione che va ben oltre i miei sentimenti: stiamo parlando di atti disumani, criminali. Queste persone devono essere salvate. Io ho due figli - la conclusione dell'asso Nba, per tre volte in campo nell'All Star Game americano -. Voglio essere un esempio per loro. E immagino la situazione di un padre che deve affrontare viaggi come questi in cui si rischia tutto per
raggiungere un paese dove poter vivere in pace e con dignità. Penso che se fossi al suo posto vorrei che qualcuno mi aiutasse mettendo a disposizione il suo tempo, i suoi soldi, dandomi una mano. Penso che dovremmo tutti contribuire in qualche modo».

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