Italia e Estero

Che cosa prevede il referendum sulle trivelle del 17 aprile

Manca meno di una settimana a quello che dai più viene definito il referendum sulle trivelle, proposto da nove Regioni
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Domenica 17 aprile gli italiani saranno chiamati ad esprimersi su un referendum sulle trivelle promosso da nove consigli regionali (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise; in un primo momento figurava anche l'Abruzzo che però si è ritirato) sostenuti da alcune associazioni e movimenti in difesa per l'ambiente, tra cui il coordinamento No Triv. 

Sul quesito abrogativo pesa, com'è noto, la spada di Damocle del quorum, quindi affinché il risultato possa essere valido dovrà essere votato dal 50% degli italiani più uno degli aventi diritto, secondo quanto previsto dall'articolo 75 della Costituzione. 

Chiara la richiesta che comparirà sulla scheda, che in sostanza chiede che, al momento della scadenza delle concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane, entro le 12 miglia dalla costa, anche in caso di presenza di altro gas o petrolio, andando a cancellare l'articolo 6 comma 17 del Codice dell'Ambiente, in cui si contempla la possibilità che le trivellazioni continuino fino a quando le risorse del giacimento lo consentono. 

Chi sceglie il sì chiede che le concessioni per le piattaforme ancora attive vicino alla costa non vengano rinnovate una volta scadute; gli impianti attivi al momento del referendum non cesserebbero l’attività il 18 aprile, ma alla scadenza del loro diritto di estrazione. 

Al contrario, chi vota no vuole che le piattaforme continuino ad operare fino all’esaurimento dei giacimenti. 

Il quesito referendario non riguarda la possibilità di costruire nuovi impianti ma solo l’operatività di quelli già esistenti: infatti lo Stato italiano ha già vietato ulteriori concessioni entro le 12 miglia per le società petrolifere. Non vengono prese in considerazione nemmeno le concessioni più distanti di 12 miglia dalla costa e quelle sulla terraferma. 

Sono una quarantina le concessioni di «coltivazione di idrocarburi» interessate al referendum, la maggior parte delle quali estrae gas dal fondale marino. Al momento le concessioni hanno una durata di 30 anni che può essere prorogata prima di 10 e poi di altri 5 anni. 

Chi promuove il sì spera che dal referendum arrivi un segnale chiaro per un cambiamento di rotta sulle politiche energetiche; chi spera che il quorum non venga raggiunto o che vincano i no non vuole che l’Italia rinunci alla possibilità di sfruttare queste risorse energetiche. 

Il dibattito sul referendum è cresciuto d'intensità nelle ultime settimane, anche in seguito alle rivelazioni emerse dall'inchiesta sul petrolio in Basilicata, che ha portato alle dimissioni della ministra Guidi. 

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