Canale di Suez, quella striscia d'acqua d'impatto globale

Il Canale di Suez, fondamentale oggi come ieri. È il 1956, da undici anni è finita la Seconda Guerra Mondiale, e il modo è diviso nelle due zone di influenza Urss e Usa, con alcuni Stati che stanno creando il movimento dei Paesi non allineati (i cui più importanti membri saranno Jugoslavia, Egitto e India). La giovane repubblica egiziana, fondata da Nasser nel 1952 con il colpo di stato che aveva destituito re Faruq, deve affrontare un momento di grave difficoltà economica. L’unica attività che produca ingenti somme di denaro in Egitto è quella della «Compagnia del Canale di Suez» posseduta al 50% da Francia e Regno Unito.
Nasser, dunque, decide di nazionalizzare la Compagnia (e i suoi ingenti profitti). I due Stati proprietari chiedono immediatamente all’Onu di poter partire per riprendere militarmente il canale, ma l’Organizzazione lo nega. Una clausola dei trattati internazionali, in realtà, consentirebbe a Francia e Regno Unito di intervenire, ma solo per garantire il pacifico passaggio di merci e persone in una zona di guerra… e l’Egitto non è zona di guerra. Serve, dunque, il casus belli. Francia e Regno Unito si accordano segretamente con Israele («Protocollo di Sèvres») al quale chiedono di occupare la penisola del Sinai in cambio dell’appoggio, presso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, alla richiesta israeliana di continuare gli esperimenti nucleari nel deserto del Negev.
Gli ingenti utili della Compagnia del Canale, tuttavia, non fanno desistere il Regno Unito, la cui risolutezza viene meno solo dopo una minaccia di natura altrettanto economica: Eisenhower fa sapere che intende chiedere alla banca centrale degli Usa di vendere tutte le sterline in deposito, il che provocherebbe un crollo della valuta britannica sui mercati internazionali. Francia e Regno Unito si ritirano, si sventa così il conflitto e il canale rimarrà per sempre egiziano. Laddove fallì la diplomazia internazionale, quindi, potè la minaccia di una banca centrale.
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