Io che mi sento giovane e la bimba che mi chiama nonno

Il momento è arrivato. Inatteso, ancorché prevedibile. Come il primo giorno di scuola, come il militare, come il primo bacio, la maturità, il funerale dei tuoi. Come, più recentemente, il giorno in cui ti hanno ceduto il posto sul bus e hai sottovalutato il campanello d’allarme.
Tu che ti rapporti ancora a persone più giovani pensando che trovino in te qualcosa d’interessante; tu che vai in bici al lavoro perché «guarda che gambe che mi sono fatto»; tu che consideri il bianco del tuo crine un valore aggiunto e non un segno della caducità della vita e dei capelli; tu che «i 60 sono i nuovi 40»; tu che «ho un equilibrio psico-fisico che i giovani si sognano»; tu che scambieresti ancora le figurine con i compagni di classe...
Al supermarket una bimba amorevole ti indica alla mamma: «Nonnoooo». La madre – tua potenziale figlia, a questo punto – prova a rimediare: «Certo, il signore assomiglia al nonno...». Ma ormai il messaggio è lanciato. Mia moglie dà la colpa a barba e capelli lunghi e bianchi, «all’aspetto trasandato che invecchia».
Altro che valore aggiunto. Io non cerco scorciatoie (nemmeno per la peluria), mi rendo conto di essere un attempato signore, salvato per il momento dalla vecchiaia grazie ai progressi della scienza e alla legge Fornero. Ci rido su, alfine, pensando che il prossimo passaggio avverrà quando qualcuno dirà: «Ahò, ce stà nonno». Cerchiamo di entrare nella terza età ad occhi aperti.
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