Un robot in aiuto delle persone negli ambienti ostili: lo studio dell’Università di Brescia

Si provi a immaginare una situazione di pericolo: un edificio in fiamme, con possibili esalazioni tossiche o crolli a mettere a repentaglio la vita dei soccorritori. Se ad aiutarli ci fosse un robot, che svolgesse azioni rischiose al loro posto o si assicurasse in anticipo dell’agibilità di un luogo, l’operazione sarebbe senz’altro più sicura.
Situazioni di questo genere sono però mutevoli e un agente robotico dovrebbe essere in grado di rispondere anche a eventuali imprevisti: come fare?
Ingegneria
Un primo mattoncino per lo sviluppo di una tecnologia di questo tipo sta provando a metterlo una ricerca internazionale che coinvolge l’Università degli Studi di Brescia: l’obiettivo è realizzare agenti robotici in grado di lavorare in team con gli esseri umani in ambienti pericolosi, in modo dinamico. Un progetto guidato dall’Università della California, a cui lavorano ricercatori dell’ateneo di Cardiff, dell’Imperial College e dell’UniBs, dove è coordinato dal professor Federico Cerutti del Dipartimento di Ingegneria dell’informazione.
«Stiamo studiando come permettere a dei robot di cambiare il loro comportamento in base a situazioni diverse dell’ambiente pur mantenendo gli obiettivi finali della loro missione - racconta Cerutti -. Si tratta dunque di costruire degli agenti robotici che rispettino regole generali, ma abbiano anche un’autonomia per riconfigurare le loro operazioni e svolgere nuovi compiti».

Le azioni sarebbero le più svariate: «In alcuni casi il robot sarebbe di supporto - continua -, ad esempio per trovare feriti, in altri andrebbe in avanscoperta per capire se ci sono esalazioni chimiche o se il tetto sta per crollare». Oltre alla gestione dell’incertezza, l’altra grande questione che la ricerca deve affrontare è la comunicazione: «In contesti critici non possiamo permetterci incomprensioni tra uomo e robot», spiega il professor Cerutti.
Agenti robotici che operano al posto dell’uomo in ambienti pericolosi esistono già, dice, «ma controllati da remoto da un essere umano. In questo progetto ci siamo chiedendo invece come un robot possa non essere controllato direttamente e avere un certo grado di autonomia per i suoi obbiettivi».
Intelligenza artificiale
In aiuto dei ricercatori vengono l’Intelligenza artificiale e un tipo particolare di machine learning, l’apprendimento per rinforzo: «Non si dà al robot una direttiva specifica, ma lo si lascia provare da solo a procedere al meglio - evidenzia il professore -. In ogni caso non vogliamo nemmeno che impari tutto da zero ma che gli esseri umani possano comunque dargli delle informazioni. La combinazione tra l’apprendimento autonomo del robot e le regole fornitegli dall’uomo è un approccio neurosimbolico: neurale perché il robot impara da solo sulla base di ciò che vede, simbolica è invece la conoscenza che vi iniettiamo».
E continua: «È ancora una ricerca di base, stiamo costruendo algoritmi e software e le simulazioni sono ancora tutte virtuali, ma l’obbiettivo finale di un prosieguo del progetto sarebbe adattare quello che il robot ha imparato nel mondo virtuale al mondo reale».
Sicurezza
Per farsi un’idea di come potrebbe essere la versione concreta del robot, «si può pensare ai robot a quattro zampe, simili a cani, già disponibili per ambienti industriali, come per esempio quelli prodotti da Boston Dynamics o Unitree». In attesa di applicazioni, la ratio del progetto è chiara: «Meglio rischiare qualche centinaio di migliaia di euro di robot - afferma Cerutti -, piuttosto che la vita di un essere umano».
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