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«Non digitalizzo ad ogni costo, ma dico sì alla tecnologia»

Paolo Streparava, ceo del gruppo di Adro (meccanica-automotive), affronta il tema del 4.0 ad ogni costo
Paolo Streparava è alla guida dell'azienda che fu fondata nel 1951 dal nonno Angelo Luigi - © www.giornaledibrescia.it
Paolo Streparava è alla guida dell'azienda che fu fondata nel 1951 dal nonno Angelo Luigi - © www.giornaledibrescia.it
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Eravamo partiti da lui e da qui, tre anni fa ormai, quando si è cominciato con Impresa 4.0 (si chiamava ancora Industria 4.0) e quindi a raccontare delle nuove tecnologie che arrivavano in azienda. Ed eravamo partiti per sentirci dire che, potendo scegliere fra un’azienda 4.0 ed un’azienda lean (quindi snella con tutto quel che la cosa comporta) lui avrebbe scelto questa seconda. Paolo Streparava, ceo del gruppo di Adro (meccanica-automotive), affronta il tema del 4.0 ad ogni costo.

Siamo ancora qui: sempre della stessa idea?
«Sempre. Naturalmente, peraltro come allora, non vado certo in giro a dire che la tecnologia non serve. Sarebbe una enorme sciocchezza. Ma io penso che prima di essere tecnologicamente avanzatissimi e iper automatizzati, meglio essere lean, organizzati e leggeri, avere una fabbrica che non spreca, dove si fa di più con meno energia. Se questa cosa entra nella testa di tutti è come avere in tasca un’assicurazione che, a prescindere da quel che si andrà a fare, consentirà guardando a questa stella polare: fare di più con meno energia».

Ma è una scelta «ideologica», lean a prescindere?
«Mai più. Il 4.0 è tecnologia e questa per la gran parte la si può comprare.La lean production è pensiero, riflessione, progettazione, verifica. Ovvio che la tecnologia serve, ma ancor più serve sapere dove e perchè e, soprattutto, se è una tecnologia utile che per me significa se quell’investimento il mio cliente me lo paga, me lo riconosce. In una parola: se ne vale la pena. Essere lean serve anche a porci costantemente delle domande. Nel caso di specie: tutto ’sto 4.0 ci serve?»

Anche lei è fra quelli che non si innamorano degli investimenti.
«Non mi innamoro costi quel che costi. Andrei contro la nostra stella polare. Noi abbiamo fatto recentemente importanti investimenti, ad esempio con la Stain di Brescia, per installare un sistema Mes. Dovevamo farlo per avere sotto controllo il processo macchina per macchina e per collegarci con tutte le unità del gruppo. Sui dati abbiamo spinto molto perchè lì abbiamo capito che ci servivano, che erano utili, che davano margini. E lì abbiamo fatto investimenti. E devo dire che con il Mes della Stain abbiamo ottimi riscontri».

Quindi lei dice: si investe ma solo là dove serve. Non è una medaglietta quella di avere tutta la fabbrica 4.0...
«Nel reparto dove facciamo 880 mila pompe l’anno il 4.0 serve, ma perchè devo spendere in chiave 4.0 in un microreparto come le sospensioni pesanti dove ne facciamo qualche centinaio? Lì non spendo. Investimenti laddove si crea più valore, dove il mercato riconosce lo sforzo».

Più in generale, che valutazione dà, alla categoria degli imprenditori, in chiave di innovazione?
«Non c’è dubbio che la sensibilità, chiamiamola così, è cresciuta. Adesso va semmai trasferita dai capannoni agli uffici, agli studi di progettazione. Anche lì c’è molto da digitalizzare. Ma anche lì serve intelligenza, anche lì si digitalizza dove serve. Vede qui (e mi mostra un gran collage di post it verdi-gialli-rossi-fucsia in non ricordo più quale ufficio; ndr): noi troviamo più funzionale fare così. Grandi vantaggi dal digitalizzare questa funzione non ne vediamo. E quindi andiamo avanti coi post it. Non siamo amanti del vintage, semplicemente ragioniamo: questo conviene, quest’altro no».

Cambiamo tema, ovvero la formazione. Se ne fa un gran parlare.Le aziende cercano tecnici qualificati, in molti casi anche superqualificati, ingegneri...
«Perdoni se interloquisco subito. Ovvio che le aziende cercano queste figure qualificate, ma guardi che cerchiamo anche personale meno qualificato. Cerchiamo persone che - semplicemente e meravigliosamente - abbiano voglia di lavorare».

Oggi abbiamo un tasso di disoccupazione quasi doppio rispetto a 10 anni fa. Non mi dirà che sulle fasce più basse, fate fatica a trovare personale.
«Certo che glielo dico. È difficile, molto difficile, trovare chi voglia, ad esempio, lavorare sui tre turni. L’idea di lavoro è molto cambiata, e non mi pare in meglio. Siamo un’azienda strutturata, seria, solida, che dà anche servizi (la mensa, ad esempio, costo 1 euro). Eppure facciamo fatica. Non so, c’è una strana percezione del lavoro in fabbrica. C’era anche il progetto alternanza-scuola lavoro per 400 ore. Il Governo l’ha ridotto a 150. Era una cosa buona e bella, un primo modo di far approcciare la fabbrica ai più giovani e l’hanno di fatto annullato. Mah».

Resta il tema delle fasce più qualificate...
«Resta sì, ma non so se sia il più urgente. Gliela dico in maniera semplice-semplice: per come la vedo io serve gente che magari abbia una qualche qualificazione in meno ma un po’ di voglia di lavorare in più».

 

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