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L’algoritmo del Rise che misura l’affidabilità dei fornitori

Innovazione gestionale per capire i punti deboli nella catena produttiva Automotive e non solo
Dal Rise un «termometro» per allertare su stati di crisi
Dal Rise un «termometro» per allertare su stati di crisi
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«Quanto conosci i tuoi fornitori?». Mah, fatta così a caldo a molti imprenditori, non c'è dubbio che per la stragran parte vi risponderanno che «li conoscono come le proprie tasche», che con alcuni, addirittura, «ci son rapporti da vent'anni», e che quindi «si sentono tranquilli», eccetera eccetera. Non c'è dubbio che questa sia la media delle risposte. Epperò, ogni tanto, qualcuno salta, c'è chi fallisce. E a quel punto si aprono problemi più o meno grossi.

Cercare quindi di capire la solidità dei propri fornitori e quindi come prevenire e come misurare il rischio di fallimento è un esercizio tutt'altro che accademico. Agli accademici - e quindi ai professori universitari - semmai possiamo chiedere un metodo, un sistema per misurare questo rischio ben sapendo - da subito - che la risposta non potrà essere certissima al cento per cento. Ma, almeno, si avrà un orientamento, un indicatore.

Attorno a questo tema si è misurata l'università di Brescia e in particolare il Laboratorio Rise diretto dal professor Marco Perona che presenterà i risultati della ricerca il 7 giugno prossimo (ore 17.30-19.30) presso la sede dello stesso Cre.Lo.Ve in via Orzinuovi 75. La opportunità di avere un termometro sulla affidabilità dei fornitori sta diventando sempre meno un optional. I grandi gruppi industriali (si pensi ai produttori di auto mondiali) negli anni hanno trasferito produzioni sempre più complesse a fornitori esterni.

Fino ad un po' di anni fa si trattava di singoli componenti, oggi siamo ai sistemi. Si fan produrre all'esterno il cruscotto, la selleria, il frontale, anche il motore in più d’un caso e molto altro. Il 70% del valore di un'auto - dice Marco Perona - è fatto fuori, da fornitori esterni. Di fatto, i produttori di auto oggi sono, da un punto di vista strettamente industriale, degli assemblatori. Vale per l’auto ma vale per molti altri produttori.

Poi c'è stata, sempre nel corso degli anni, una seconda tendenza: quella della globalizzazione che, nel caso nostro, significa cercare fornitori a livello globale. Non importa dove, importa il prezzo (oltre a qualche garanzia aggiuntiva, ovviamente). E' evidente che, in questo quadro, tentare di controllare i propri fornitori diventa sempre più decisivo. Un conto è avere chi ti fornisce il cambio a 500-1000 chilometri, un altro conto è se sta dall'altra parte del mondo. A parte le distanze, è proprio un altro mondo, con una serie di rischi aggiuntivi: il rischio-Paese (esempio l'embargo sulla Russia), quello ambientale (vi ricordate lo scoppio della centrale giapponese con tsunami annesso?).

E poi ci sono rischi legati a questioni etiche (i bambini indiani al lavoro per i palloni della Adidas). Insomma: nel mondo si è fatta strada l'idea che i fornitori è meglio averli più vicini possibile (con molte eccezioni e condizioni, naturalmente). Più lontani, più complicati. Detta in altro modo: trovare fornitori lontani aiuta spesso a spendere meno ma rende più difficile assicurare la continuità del business. In pratica: si risparmia ma ci si complica la vita in altri ambiti. E dunque fornitore vicino rischio azzerato? Magari. Molti di questi fornitori spesso sono realtà piccole, bravissimi a fare il loro mestiere ma, in qualche caso, finanziariamente fragili, spesso non hanno obbligo di depositare il bilancio. Insomma, qualche problema resta.

Tutto questo quadro e l'insieme dei possibili problemi sono stati messi sotto la lente del Rise che ha condotto una ricerca su 70 aziende (bresciane e non), di dimensioni diverse e attive in ambiti diversi. Si è cercato di capire se avessero avuto interruzioni di produzione dai fornitori, in quanti casi, con che danni eccetera. Un sondaggio sul tema. Un primo dato interessante - commenta il professor Perona - è che, mediamente, ogni 4 anni si è registrata una interruzione di fornitura importante con danni, in qualche caso, di qualche centinaio di migliaia di euro.

Bisogna quindi fare subito investimenti, trovare un fornitore alternativo cui magari devo fornire degli stampi o presso cui è necessario realizzare delle preserie produttive. E poi, e soprattutto, per un certo periodo non posso fornire i clienti. Sondaggio in 70 aziende. Naturalmente molte aziende (due terzi delle 70 interpellate) hanno presente il problema. « I più grandi si sono attrezzati, ma anche in questo caso restano aperti alcuni problemi», dice Perona. «Noi nei abbiamo individuati quattro: la valutazione non viene ripetuta con regolarità nel tempo, ma solo una tantum, quando pare che serva; non riguarda tutti i fornitori ma di solito solo i più grandi (però di solito sono i piccoli a fallire...); non vengono monitorati tutti i rischi rilevanti (spesso il solo rischio di fallimento) ed è spesso realizzata in modo qualitativo, non quantitativo».

Con tutti questi limiti, secondo Marco Perona solo pochissime aziende hanno l'idea complessiva del problema, mentre la maggior parte non hanno - per usare le parole del prof. - «la cognizione della magnitudo» della cosa, del danno che potrebbero subire. Che fare, dunque? Attrezzarsi. Sistemi e algoritmi che misurano in maniera affidabile la probabilità di fallimento di un'azienda sono presenti sul mercato da tempo. Quel che mancava era un algoritmo che misurasse l'eventuale costo legato ad un eventuale fallimento di un fornitore, quindi, per l'appunto, la magnitudo del danno. Adesso questo algoritmo c'è ed è stato messo a punto dal Rise.

E le aziende, questo il suggerimento del professor Perona, dovrebbero sottoporsi a questa sorta di check up, per capire meglio l'entità dei possibili danni. «È un suggerimento - commenta Perona - che io ritengo utile per almeno tre ragioni: conviene dal punto di vista della gestione d'impresa: prevenire i rischi è meglio che subirli; uno strumento di questa natura serve per avere (o per mantenere) alcune certificazioni (la Iso9001 del 2017, ad esempio); serve anche, direi, come segnale di qualità e affidabilità per i tuoi clienti, serve a presentarsi meglio». Ovvero: un po' per la sostanza e un po' per la forma.

 

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