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Intelligenza artificiale, viaggio nel futuro del lavoro

Secondo le previsioni più dei due terzi delle professioni saranno impattate dall’implementazione della tecnologia: a che punto è la formazione dei lavoratori e quali scenari si prospettano
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Intelligenza artificiale, la rivoluzione
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Ricorre tanto spesso che il futuro sembra già presente. E in un certo senso è così. Perché l’intelligenza artificiale è già tra noi. Evoca sensazioni contrastanti: c’è chi la demonizza e chi invece la vede come la panacea di tutti i mali. La risposta è al centro della bilancia, con rischi e pericoli dietro l’angolo ma opportunità e vantaggi alle porte. E oggi è ancora grande la confusione sotto il cielo.

Di certo, anche se la rivoluzione digitale è già in corso, il futuro dell’intelligenza artificiale generativa nel mondo del lavoro riguarderà soprattutto i Neet. Secondo le previsioni più dei due terzi delle professioni saranno infatti impattate dall’implementazione di tecnologie dell’intelligenza artificiale. Per The European House Ambrosetti, ad esempio, la sua adozione nelle imprese italiane potrebbe generare un +18% sul Pil e fino a 312 miliardi di valore aggiunto annuo.

Ovviamente ci saranno ripercussioni sui posti di lavoro e alcuni mestieri tradizionali sono destinati a essere rimessi in discussione nel futuro prossimo o remoto. All’alba della rivoluzione, allora, gli addetti ai lavori stanno provando a capire come poter garantire un equilibrio tra innovazione e umanità. La domanda sembra condurre sempre a una sola risposta: formazione.

Non a caso, restando a Brescia, l’Università degli Studi ha riservato un corso apposito nel percorso di laurea magistrale in Ingegneria Informatica, mentre Confapi Brescia ha lanciato un corso di formazione incentrato sull’intelligenza artificiale generativa.

Come sono messi i lavoratori

Si tratta di segnali, timidi ma significativi, in un contesto italiano nel quale il 70% dei lavoratori non ha ancora ricevuto una formazione completa sull’utilizzo etico e sicuro degli strumenti di intelligenza artificiale (secondo un’indagine di Salesforce). In Italia, infatti, solo il 23% sostiene di aver ricevuto una formazione adeguata. Non solo: il 42% dei lavoratori italiani dichiara di non avere ricevuto linee guida aziendali chiare sull’utilizzo dell’Ia. Eppure secondo gli esperti lo strumento potrebbe aiutare a risolvere alcune criticità del nostro mercato del lavoro, a partire dai Neet, ovvero donne e giovani (15-29) che non studiano e non lavorano. In questo caso con l’intelligenza artificiale potrebbero trovare nuove occasioni di formazione e inserimento professionale, perché il suo impatto potrebbe non limitarsi alla domanda di lavoro e alla trasformazione delle dei processi, ma riguarderà anche (e soprattutto) competenze e apprendimento.

L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal 49% dei lavoratori italiani, che utilizzerebbe l’Ia senza l’approvazione formale dei propri datori di lavoro. Quasi uno su due, infatti, la usa di nascosto presentando il lavoro come se fosse interamente farina del proprio sacco. Una tendenza che, rilevano le indagini, è particolarmente evidente tra le generazioni più giovani della Gen Z.

Le professioni

Ma chi pensa che l’Intelligenza artificiale sia il male assoluto sbaglia. Ciclicamente, il mondo del lavoro è stato l’humus di novità rivoluzionarie, a seguito delle quali il sistema si è sempre adattato. Il telaio meccanico prima, il computer e internet dopo. È probabile che succederà di nuovo.

Quando nel Settecento la rivoluzione industriale stravolse il mondo del lavoro con l’introduzione delle macchine, gli operai ebbero così paura di essere rimpiazzati dai nuovi strumenti di lavoro che iniziarono a distruggerli. Sarebbe una «cancel culture» all’inverso.

Le prime stime sull’immediato futuro, d’altronde, impressionano: secondo il «The Future of Jobs Report 2020» del World Economic Forum, l’intelligenza artificiale sostituirà 85 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo entro il 2025, ma nello stesso tempo sarà in grado di creare 97 milioni di nuovi posti di lavoro.

Oggi sono quattro le professioni più richieste per l’intelligenza artificiale: i data scientist, che analizzano i dati per comprendere comportamenti, tendenze e inferenze complesse; gli ingegneri di intelligenza artificiale e machine learning, i professionisti di data labeling e gli specialisti di hardware. Ma ce ne sono molte altre, a partire dallo chief Ai Officer, figura direttiva che ha il compito e la responsabilità di gestire al meglio le potenzialità dell’intelligenza artificiale, fino a poi l’analista del business intelligence, lo specialista del machine learning, l’analista del fintech business, l’analista del cyber security, l’artificial intelligence ethicist, il data scientist e lo specialista della trasformazione digitale.

È ancora presto per immaginare quali altre figure possano riempire i vuoti – siamo ancora nell’era embrionale della rivoluzione tecnologica – ma lo sviluppo del settore sembra condurre in questa direzione, seguendo gli stessi andamenti del passato nel mondo del lavoro.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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