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Digital servitization, non vendo prodotti ma servizi

Incontro Asap al collegio Lucchini. Le aziende ammettono l’opportunità ma faticano a praticarla
La digital servitization al centro dell'incontro Asap al Collegio Lucchini
La digital servitization al centro dell'incontro Asap al Collegio Lucchini
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Era il 1995 quando l’Harvard Business School introdusse il concetto di servitization. Con questo termine, che tradotto suona (male) come servitizzazione, si voleva indicare un nuovo modello di business che spostava il peso dell’offerta dal prodotto ai servizi. A spiegarlo a tutti nella pratica pensò Rolls Royce nel 2012, quando cominciò a vendere, al posto dei motori, le ore di volo che questi potevano garantire. Tre anni dopo, ecco un’altra rivoluzione: con le nuove tecnologie anche i servizi dovevano entrare nell’ecosistema interconnesso.

«Quando si parla di Digital Servitization oggi ci riferiamo a nuovi modelli di business digitali con un forte orientamento al cliente - spiega Federico Adrodegari, ricercatore dell’Università di Brescia e nuovo coordinatore di ASAP Service Management Forum -. Da un modello incentrato sulla vendita del prodotto si passa a un modello che aumenta il valore dell’offerta grazie alla vendita aggiuntiva dei servizi».

La Digital Servitization sta ormai ridisegnando lavori e l’identità delle aziende. Un caso esemplare è dato dalla multinazionale Pietro Fiorentini, illustrato durante il convegno del 27 febbraio al Collegio Lucchini, a Brescia, su «Le competenze digitali per la Digital Servitization», organizzato da Asap con IbisLab e Rise.

Leader nella realizzazione di prodotti per la distribuzione del gas naturale, negli ultimi dieci anni l’azienda «ha triplicato gli affari puntando sui servizi - racconta il senior advisor Gianfranco De Feo -. Siamo passati dai 150 milioni di euro di fatturato nel 2008 ai 340 milioni del 2018, con un investimento del 27% del totale in Digital Content».

Oltre a regolatori e valvole, il gruppo ha iniziato a offrire servizi di Smart metering, avvalendosi di tecnologie 4.0 come Smart grids e IoT. «Una trasformazione totale della nostra immagine di azienda meccanica», commenta De Feo. Non è facile operare un cambiamento simile in un settore conservativo come quello dell’Oil & Gas. Anche se, nota De Feo, c’è molta differenza fra un Paese e l’altro: «In Cina forniamo una selezione di dati, vendiamo un oggetto con dieci anni connettività e servizi assicurati. È la nazione più avanzata, mentre l’Italia, a parità di servizi offerti, per ora chiede solo una gestione dei dati».

A confermare un certo grado d’incertezza in materia di servitization fra le imprese italiane è anche l’ultima ricerca di Asap, focus del convegno, condotta da Federico Adrodegari, Mario Rapaccini (Università di Firenze) e Theoni Paschou (Università di Brescia). Nell’indagine, partita nel 2017 e conclusasi a gennaio, si chiedeva alle 500 compagnie partecipanti di specificare quali competenze erano più necessarie ad attivare un processo di servitization. Pur avendo l’80% delle aziende dichiarato di applicare già il 4.0, aspettandosi grossi benefici (85%), la ricerca ha rilevato un gap significativo fra l’importanza attribuita alle competenze e la loro presenza all’interno delle compagnie.

 

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