Dalla Nato alla mobilità: i nuovi materiali made in Brescia fanno il giro del mondo

Si è classificata prima nel settore «Material & Nano Sciences» del «Top Italian Women Scientists», censimento degli scienziati e scholars italiani (anche all’estero) di maggior impatto.
Non solo: Elisabetta Comini, ordinaria di Fisica sperimentale dell’Università degli Studi di Brescia e delegata del rettore all’Innovazione e al Trasferimento tecnologico, è entrata anche nella classifica Elsevier (Scopus), basata sull’impatto delle citazioni scientifiche, dove è 91esima a livello internazionale nella categoria «Chimica Analitica» su 107.126 ricercatori.
Punte d’eccellenza che Comini ha raggiunto applicandosi nello studio di materiali inorganici e nellapreparazione di materiali funzionali quali gli ossidi metallici. Ne abbiamo parlato con la stessa studiosa e ricercatrice.
È specializzata nello studio e nella crescita di ossidi metallici nanostrutturati, in particolare nanofili. Può dirci di cosa si tratta?
Gli ossidi metallici sono composti formati da un metallo e da ossigeno (ossido di titanio, di zinco, di stagno…), con svariate proprietà funzionali e che possono essere utili per la produzione di dispositivi elettrici, ottici, elettro-ottici, in catalisi, (sensori di gas, chimici, ottici biosensori, Led, celle a combustibile e altro). Dal 2001 mi sono occupata della crescita di questi ossidi in forma di nanostrutture quasi monodimensionali, come capelli ma con un diametro molto piccolo. Per dare un’idea, lo spessore di un capello va da 0,06 a 0,1 millimetri, mentre un nanofilo ha uno spessore di poche decine di nanometri (un milionesimo di mm) e una lunghezza che può arrivare a parecchi micrometri (millesimo di mm).
Per «vedere» il risultato delle crescite di questi materiali ci si deve avvalere di un microscopio elettronico. Spesso però non basta e serve controllare quale sia la struttura, ossia la posizione dei vari atomi nello spazio, e quale il comportamento dal punto di vista elettronico, andando a misurare la resistenza o misurando l’emissione di luce. Naturalmente i grandi risultati ottenuti dal nostro laboratorio Sensor sono sempre il frutto di un lavoro di squadra.
A cosa sta lavorando in questo momento?
Recentemente abbiamo lavorato con fondi Nato al progetto Amoxes, il cui obiettivo è lo sviluppo e la fabbricazione di sensori chimici in grado di rilevare con precisione composti volatili pericolosi per la salute umana, combinando le proprietà elettriche e ottiche dei nanomateriali per superare i problemi delle tecnologie esistenti come la selettività, la stabilità, la portabilità e il consumo di potenza.
Il secondo progetto di ricerca invece riguarda lo sviluppo di celle a combustibile a ossido solido. L’innovazione, che abbiamo introdotto per primi al mondo, risiede nello sfruttare le peculiarità della morfologia a nanofili dei materiali da noi prodotti per aumentare la reazione efficace che permette la produzione di energia. L’obiettivo è chiaramente quello di aumentare l’efficienza di questi dispositivi e dare una spinta all’introduzione massiccia delle celle a combustibile nel mercato grazie anche al possibile utilizzo di biogas e non solo di idrogeno.
Qual è il futuro delle nanostrutture cristalline mono dimensionali?
Queste nanostrutture hanno delle proprietà che le contraddistinguono dalle altre morfologie più convenzionali, come una maggiore resistenza meccanica e migliori proprietà elettriche, ottiche e magnetiche. Grazie a questo potranno essere integrati, ad esempio, in dispositivi come laser, transistor a effetto di campo e nanoantenne per aumentarne l’efficienza. Oltre a ciò, si potranno usare anche come sonde a livello nanometrico per la registrazione del funzionamento di cellule ed organoidi.
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