Un branco di lupi glaciali riposa nel museo

Duemila reperti. Un tesoro di straordinarie proporzioni e di ancor più straordinaria rilevanza scientifica. Stiamo parlando dei resti del lupo glaciale ritrovati in passato al Buco del Frate e poi confluiti in parte al Museo archeologico di Gavardo e in parte al Museo di storia naturale di Brescia.
Un lungo lavoro di studio e catalogazione ha permesso finalmente di identificare con assoluta certezza quanti e quali, fra i ventimila reperti animali riportati alla luce dal fondo della grotta, appartenevano ad esemplari di lupo. Duemila, è stata la risposta. A fare di questa, senza dubbio alcuno, la collezione più estesa di tutta Europa.
«Il lupo glaciale, vissuto tra i quaranta e i cinquantamila anni fa, era assai simile a quello di oggi - spiega il paleontologo Fabio Bona, uno degli artefici della ricerca. - Solo, di costituzione un po' più robusta, per resistere meglio al freddo. Le ossa recuperate dal Buco del Frate provengono da una cinquantina di esemplari e ci consentiranno di attuare la ricostruzione completa di uno scheletro di questa specie».
Scheletro che si affiancherà così a quello, altrettanto completo, del rarissimo ursus spelaeus, l'orso delle caverne, da sempre vanto del museo gavardese. Per la realizzazione ci vorrà ancora del tempo, però. Tempo e denaro. «Stiamo cercando di reperire i fondi necessari» assicura il direttore dell'istituzione, Marco Baioni. Senza aspettare l'arrivo del lupo, intanto, a Gavardo ci si è dati da fare per eseguire il riallestimento della sezione paleontologica, la più importante della provincia.
Il «vecchio» allestimento, ottimo negli anni in cui era stato concepito, risultava ormai oggettivamente un po' datato, sia nella collocazione dei materiali che nell'ambito della didattica e della comunicazione. Da qui la decisione di riorganizzarlo, anche grazie a nuovi supporti, a cominciare dalle vetrine. Tra i molti reperti conservati, e solo in piccola parte destinati, per ragioni di spazio, all'esposizione, si sono privilegiati quelli maggiormente connotativi della specificità territoriale, ossia quelli provenienti dall'area gardesano-valsabbina.
Moderni pannelli esplicativi guidano ora, con linguaggio accattivante e un suggestivo apparato iconografico, il visitatore in un viaggio nel tempo, lungo tappe che rivelano, entro confini familiari, panorami inattesi e sorprendenti. Sì, perché i resti ritrovati nella zona e custoditi a Gavardo ci dicono che, accanto al lupo e all'orso, quarantamila anni fa qui vivevano il leopardo e la iena, il cervo e il castoro, la puzzola e la marmotta, persino la gigantesca alce d'Irlanda; e il ghiottone, animale che oggi ha il proprio habitat nei pressi del Circolo polare artico (e di cui il museo ospita la raccolta di reperti ossei più ampia d'Italia).
A Gavardo e dintorni all'epoca dell'ultima glaciazione regnava forse anche il mammut. «Tracce non ne sono state trovate, almeno fino ad ora», precisa Bona.
Enrico Giustacchini
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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