Zambelli: «Salute, occupazione, imprese e territorio: voglio continuare il lavoro»

Stefania Zambelli è nata a Salò e ha 51 anni. Attiva nella Lega fin dagli anni Novanta, è stata anche vicensindaco nel suo paese natale e membro del Cda di Arpa.
Alle elezioni europee del 2019 ha ricevuto quasi 19.000 preferenze entrando in Parlamento con la Lega: nel 2023 ha abbandonato il partito di Matteo Salvini per approdare in Forza Italia e contestualmente a Bruxelles è passata dal gruppo Identità e democrazia a quello del Partito popolare europeo (Ppe).
Cosa l’ha spinta a ricandidarsi?
In cinque anni riesci a piantare dei semi, ma molte cose non le vedi realizzate: ho ottenuto tanto, però mi sarebbe piaciuto fare di più. Nella commissione Occupazione ho trovato una legge sulla salute dei lavoratori ferma dal 2004: in quel frangente sono riuscita a inserire anche i medicinali pericolosi unendo tutte le categorie.
Ci sarà una legge che porterà il mio cognome e tutelerà i lavoratori da sostanze cancerogene, mutagene e reprotossiche. Mi rende poi molto orgogliosa essere stata la prima firmataria della Carta europea della disabilità. Ho fatto 119 interrogazioni, 13 risoluzioni e ho il 100% di presenze in aula e in commissione: sono stata premiata come decima eurodeputata più influente e seconda nella mia commissione. Il mio dovere era quello di essere presente per stare il più vicino possibile al territorio che mi ha votata.
Quanto è importante stare dentro le aule europee?
È tutto. Essere in commissione vuol dire poter combattere. L’esempio più lampante è quello delle etichette «Nuoce gravemente alla salute» sulle bottiglie di vino: grazie a noi questa direttiva è stata bloccata. Pd e Cinque stelle erano a favore e non sempre il Ppe riesce a fermare e a contrastare l’ideologia della sinistra, come è successo anche con la «casa green».
Lei è passata da Identità e democrazia al Partito popolare europeo, che è il principale sostenitore della maggioranza, che significato ha avuto?
«Si è più influenti e si è sempre attorno ai tavoli delle trattative più importanti. Il voto a un candidato del Ppe è un voto utile: è un dato di fatto. Gli altri voti, anche se indirizzati a bravissime persone, rimangono congelati. Ha fatto di più Forza Italia con meno di 10 deputati rispetto alla Lega che ne aveva 30».
La prossima legislatura ripartirà dal Green deal? Lei crede che sia troppo ideologico?
«In questi anni si è portata avanti una battaglia contro agricoltori e pescatori, adottando direttive impossibili da mettere in pratica. Ma loro sono i primi che vogliono bene alla natura e cercano di tutelarla. Spesso le disposizioni in Commissione europea vengono scritte da burocrati che magari non sono mai entrati in una stalla: è indispensabile coinvolgere i diretti interessati. Io voglio difendere i nostri territori e chi mi voterà saprà che sarò costantemente al lavoro».
Per lei è molto importante la difesa del Made in Italy.
Prima ho parlato dell’etichettatura sulle bottiglie di vino, che avrebbe potuto danneggiare gravemente le nostre aziende vitivinicole. Questa l’abbiamo bloccata, ma c’è ancora la questione del nutri-score: l’etichettatura a semaforo che si vuole applicare a tutti i prodotti alimentari per indicarne la qualità. Per via di una classificazione discutibile molti alimenti italiani avrebbero un bollino rosso. Scientificamente però non è stato provato nulla ed è per me essenziale tutelare i nostri territori. Perché altre imprese, in altri Paesi, non hanno gli stessi controlli che abbiamo noi? Non ci possono essere due pesi e due misure».
Ha parlato degli altri Stati, serve un nuovo piano per l’immigrazione che coinvolga tutti i Paesi europei?
Senza dubbio. Le porte devono essere aperte, ma con parametri uguali per tutti e da rispettare in maniera assoluta. Sono esseri umani da accogliere, ma tutti gli Stati devono dare una mano all’Italia che rappresenta il primo luogo pronto a ospitarli. Da soli non ce la possiamo fare: ci dev’essere una giusta ricollocazione, senza frontiere chiuse e caratterizzata da una collaborazione reale.
Cosa pensa della guerra in Ucraina?
Fortunatamente abbiamo un ministro degli Esteri come Antonio Tajani. È un uomo moderato e piace molto all’estero. Confido tantissimo in lui e credo che abbia gestito i rapporti con gli Stati interessati dai conflitti in maniera eccellente.
Quindi anche in Europa ci vorrà moderazione?
Certamente. La guerra non porta a nulla. Ci dev’essere diplomazia. Saranno questioni da affrontare in maniera specifica quando saremo seduti ai banchi del Parlamento: solo lì potremo capire quali metodi adottare per ottenere una soluzione di pace.
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