Movimento 5 stelle, anatomia di una ricostruzione (dalla base)

Adesso il «non partito» per eccellenza si ritrova a fare (letteralmente) i conti con se stesso. Per il Movimento 5 stelle quelle dell’8 e 9 giugno sono un po’ le Amministrative del nuovo «anno zero». La compagine guidata da Giuseppe Conte si trova, da un lato, a dover decidere davvero cosa vuole essere (politicamente) «da grande» e, dall’altro, a dover fare quello che alle origini (e a differenza delle compagini avversarie) non ha mai avuto la necessità di fare: la politica del porta a porta. Perché il problema sta alla radice: la base di attivisti scarseggia, soprattutto nei territori del nord e in Lombardia, dove un vero boom - anche se si guarda ai tempi d’oro, con Beppe Grillo come frontman - non c’è mai davvero stato.
Trasformismo
Il Movimento paga lo scotto dell’etichetta del trasformismo: sono passati da «buona la prima» al governo stringendo l’alleanza con la Lega, un colpo dal quale non si sono mai del tutto ripresi (elettoralmente parlando), fino ad arrivare, nella corsa per Loggia 2023 a una coalizione con Pci e Unione popolare.
Epilogo: vorrebbero essere in lista, ma in questo momento si sentono più in lista d’attesa. Perché per gli attivisti del Movimento 5 stelle questi sono «gli anni della ricostruzione o, meglio, della costruzione vera e propria». Il segretario provinciale Ferdinando Alberti non lo nasconde, anzi sciorina le ragioni che hanno condotto il partito fin qui: «Dal nulla si è subito realizzato il sogno romano e questo, è inutile negarlo, non ci ha strutturati né radicati abbastanza sui territori. Proprio per questa ragione, l’obiettivo principale di questo giro di elezioni Amministrative per noi è formare una base solida di attivisti che nei prossimi cinque anni collaborino con le altre forze locali. La verità è che è come se fossimo tornati indietro con le lancette dell’orologio ai Meetup del 2010».
Campo largo
Per capire quanto questa affermazione sia reale, basta un dato: gli iscritti attivi tra città e provincia ad oggi sono in tutto 250 al massimo. Ma non è solo questo. L’orizzonte bramato da tempo a livello locale è ricalcare l’operazione Sardegna anche sui territori, quel campo largo giallorosso che però a Brescia arranca a nascere (da cui la battuta «campo largo, campo larghissimo, campo santo» ripetuta con amarezza dai 5s per scaramanzia e dal Pd per esorcizzare una serietà che non vuole davvero imprimere a questa opzione).
«Da parte nostra c’è sempre stata la volontà di dialogare col Pd - conferma Alberti -: le nostre porte saranno aperte fino all’ultimo giorno utile. Siamo disponibili a lavorare con chiunque voglia stare nel campo largo del centrosinistra: la dimostrazione è che in molti casi stiamo collaborando da esterni per sostenere i candidati, a prescindere dall’essere o no in lista».
Questo per quanto riguarda il principio. Ma poi comunque le elezioni (e la base) si costruiscono e vincono a suon di candidature. Alla fine il Movimento 5 stelle in questa tornata sarà presente in modo assai residuale. Sono solo cinque su 144 i Comuni in cui certamente ci sarà un candidato o una candidata in lizza insieme al Pd: c’è l’eccezione di Ghedi in cui schiereranno anche il simbolo (ma resta appunto l’unico caso) e restando sugli enti locali più grandi, qualche rappresentante in corsa lo si troverà a Montichiari. Di sicuro c’è una presenza a Capriolo, come pure a Sirmione (dove Azione va con il centrodestra) e a Provaglio d’Iseo. Restano delle interlocuzioni in corso in altri due Comuni: un big, ossia Concesio, e uno dei piccoli, vale a dire Iseo. Ma resta il fatto che, in partenza, i 5s non aspiravano a una corsa competitiva per queste elezioni. Lo si capisce già dall’obiettivo: «Sarebbe un successo riuscire ad avere un candidato in lista in otto-dieci Comuni, così da lavorare per costruire la struttura». Dalla base.
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