Economia

Stop all’urea nei campi: i rischi per l’agricoltura bresciana

Valerio Pozzi
Allarme dopo il divieto di utilizzo del fertilizzante più usato per le colture che richiedono azoto: scatterà dal 2028
Stop all'urea nei campi - © www.giornaledibrescia.it
Stop all'urea nei campi - © www.giornaledibrescia.it
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Vietare l’urea nel bacino padano significherebbe compromettere fino al 45% del valore della filiera cerealicola nazionale, con effetti a catena su redditività, occupazione e prezzi al consumo. È quanto sostiene Assofertilizzanti di Federchimica. La presa di posizione arriva dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, durante il mese di agosto, di diverse misure agricole che entrano a pieno titolo nel Piano di azione nazionale per il miglioramento della qualità dell’aria: fra queste di grande impatto per il settore agricolo bresciano la proroga della decisione di vietare l’impiego di urea nelle regioni del bacino padano – che doveva scattare il 1° gennaio 2027 – al 1° gennaio 2028.

I numeri

Un dibattito quindi particolarmente acceso ed attuale. Non potrebbe essere altrimenti visto che l’urea rappresenta oggi il principale fertilizzante azotato utilizzato nel nostro Paese. Secondo i dati Istat 2023, copre circa il 44% dell’apporto complessivo di azoto impiegato in agricoltura, pur costituendo solo il 16% dei volumi totali di fertilizzanti distribuiti. La sua efficacia agronomica, l’elevata concentrazione di azoto e la logistica ormai consolidata ne fanno uno strumento produttivo irrinunciabile per milioni di agricoltori europei.

Ipotesi di blocco

L’ipotesi di un blocco dell’uso dell’urea nel bacino padano avrebbe «effetti estremamente negativi – ha sottolineato Paolo De Castro, presidente di Nomisma – su alcune colture chiave del nostro sistema agroalimentare. Il mais, ad esempio, è una componente essenziale per sostenere il comparto zootecnico e le grandi produzioni Dop».  

«Il frumento costituisce la base delle filiere 100% italiane dei prodotti da forno, dolciari e della pasta; mentre il riso italiano assicura una quota significativa dell’approvvigionamento europeo Senza soluzioni tecnicamente ed economicamente sostenibili, si rischia di compromettere in modo serio la produttività e la redditività delle aziende agricole dell’area padana, mettendo in discussione – sempre secondo De Castro – il posizionamento competitivo dell’intero sistema agroalimentare italiano, tanto sui mercati nazionali quanto su quelli internazionali».

Campi di mais nella bassa - © www.giornaledibrescia.it
Campi di mais nella bassa - © www.giornaledibrescia.it

Infatti la maggioranza delle aziende agricole bresciane, soprattutto cerealicole e zootecniche, fanno parecchio uso di urea per la fertilizzazione del mais e dei foraggi e la sostituzione dell’urea con fertilizzanti alternativi potrebbe comportare un aumento notevole dei costi ad ettaro coltivato. C’è chi stima costi anche superiori ai 200 euro ad ettaro.

Anche perché attualmente non esistono sostituti altrettanto efficaci e accessibili. I fertilizzanti organici (digestato, effluenti zootecnici) richiedono infatti infrastrutture e normative chiare, ancora in fase di definizione. Il rischio per la produttività è che ci siano cali consistenti nelle rese, soprattutto per il mais, con ripercussioni sulla filiera del latte e delle carni.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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