Streparava: «Mio padre partì da zero, ora operiamo come se fossimo quotati»

«Mi creda: alla mia età si tirano le somme, ma si fanno anche le sottrazioni». Pier Luigi Streparava ha festeggiato gli ottant’anni rispettando i canoni della sua innata sobrietà. «Per quel che mi riguarda, comunque, gli aspetti positivi della vita sono di gran lunga superiori a quelli negativi», confessa il presidente dell’omonimo gruppo dell’automotive mentre siede al tavolo della sala riunioni attigua al suo ufficio.
Una stanza dove predomina il colore lucido del mobilio in legno e accuratamente allestita con pezzi di motore, targhe argentate, stampe antiche e due grandi fotografie che immortalano lui e il padre Angelo Luigi (per tutti Gino), rispettivamente con i presidenti della Repubblica Sergio Mattarella e Oscar Luigi Scalfaro. Ad entrambi, in quelle occasioni avvenute ad alcuni anni di distanza l’una dall’altra (2019 e 1994), è stata loro consegnata dal Capo dello Stato l’onorificenza di Cavaliere del lavoro.
Un titolo che si identifica anche nella «rosina» di stoffa tricolore infilzata nell’occhiello della morbida giacca in fresco di lana di Pier Luigi Streparava. «Guardo fuori dalla finestra e mi rendo conto di quello che abbiamo costruito. Mio padre ha avuto il compito più difficile - riconosce l’imprenditore - perché ha creato quest’azienda da zero, partendo dalla produzione di viti e bulloni per poi convertirla in quella di componenti per l’auto. Tuttavia - continua l’attuale presidente del gruppo dando le spalle a un grande dipinto su tela di papà appeso alla parete -, anche la mia esperienza non è stata semplice: senza dubbio io ero il figlio del fondatore, ma lui pretendeva (giustamente) che la mia immagine di fronte ai nostri collaboratori fosse limpida e inattaccabile».
Il Cavalier Streparava è morigerato con i sorrisi ancor più che con le parole. Ligio alla forma, ma votato alla sostanza, con il suo sguardo sagace rende il nostro confronto sempre più coinvolgente. Le sue osservazioni non sono mai banali, possiede peraltro un’ironia tagliente. Inoltre, nel modo di porsi, oltre che nell’aspetto, vanta un’eleganza sabauda.
Non a caso, entrare nella fabbrica di Adro è come accedere in una sorta di feudo industriale dove la cordialità e l’ordine sono un segno distintivo: per raggiungere gli uffici di vertice si passa vicino alla mensa, la delicatezza del profumo che esce da quella porta fa crescere l’invidia verso chi siederà al banchetto di mezzogiorno. «Qui in Streparava siamo una famiglia - sostiene il neo ottuagenario -. Mio padre, nel rispetto dell’etica umana e professionale, ha sempre mantenuto un forte legame con il territorio e, quindi, con i suoi dipendenti, i clienti e i nostri fornitori. Valori che sono ancora oggi alla base del nostro modo di fare impresa».
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Denoto che il signor Gino è per lei ancora un punto di riferimento.
«Sono molto orgoglioso di aver mantenuto la linea tracciata da mio padre, tant’è che in Streparava anche il terzo passaggio generazionale è già avvenuto con successo. Lo dico senza presunzione, bensì riscontrando l’armonia indispensabile con cui lavora la nostra famiglia. La stessa armonia che lega mio figlio Paolo (amministratore delegato del gruppo, ndr) ai miei due nipoti (Enrico e Roberto Deltratti, consiglieri con un ruolo molto più operativo nella società capogruppo, ndr). Sono loro che rappresentano il futuro della Streparava».
Avete mai pensato alla quotazione in Borsa o all’apertura del capitale a fondi d’investimento per far fronte alle nuove sfide che il mercato vi pone?
«Non le nascondo che è un tema che io, i miei figli e i miei nipoti abbiamo già affrontato più di una volta stando seduti a questo tavolo ...»
Temete questo passaggio?
«No, tutt’altro. Per due motivi. Il primo: per ora non prevediamo lo sbarco in Borsa o la ricerca di un partner finanziario perché non ne abbiamo bisogno. Il secondo: da tempo operiamo come se dovessimo confrontarci quotidianamente con degli azionisti esterni. Questo modus operandi ci consentirà, un domani, di affrontare al meglio ogni sfida. E poi ...».
Vi è un terzo motivo?
«No, semplicemente pensavo al fatto che questo metodo di lavoro è anche un modo per guardarci in faccia in maniera trasparente».
Lealtà e sincerità, però, non sono sempre le chiavi del successo di un imprenditore.
«I fattori di successo della Streparava sono essenzialmente due: pur essendo una società a carattere familiare, nel rispetto delle procedure previste e nell’ottica appunto della trasparenza, abbiamo sempre preso decisioni importanti senza perderci in convenzionalità. In secondo luogo, la nostra società è sempre stata fin qui dotata di risorse finanziarie che le consentissero di prendere delle decisioni in determinanti per il futuro dell’azienda».
Tuttavia, in oltre sessant’anni di vita d’impresa, immagino che anche lei provi qualche rimpianto. No?
«Se non avessimo qualcosa di cui rimpiangere non saremmo imprenditori. Ad ogni modo, ammetto che in alcune occasioni, per via della nostra maniacale prudenza, abbiamo rallentato i tempi d’azione».
Come vi siete approcciati alla rivoluzione del mondo dell’auto, segnata dalla transizione dal motore endotermico a quello elettrico?
«Con preoccupazione, non glielo nascondo».
Tutto qui?
«Non siamo contro l’auto elettrica, ma in molti devono comprendere che la sua introduzione «obbligata» in tempi così stretti non sarà un’opportunità per tutti. Bensì provocherà anche degli svantaggi, soprattutto per gli operatori del settore. Svantaggi che poi si trasferiscono sul mercato. Dopotutto se un’auto passerà da 1.200 a 200 componenti come colmeremo questo gap?».
Lei che soluzione propone?
«Innanzitutto che vengano rivisti i tempi di applicazione delle normative europee. L’obiettivo del 2035 è difficilmente realizzabile, ancora di più oggi, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina che ha messo sotto stress gli approvvigionamenti di materie prime e gas. Nella Federazione dei Cavalieri abbiamo costituito un comitato per monitorare l’evoluzione di questa fatidica transizione dal motore endotermico a quello elettrico».
Oltre a una lunga carriera da imprenditore, lei vanta una proficua esperienza nel mondo associativo. Come riesce a conciliare questi due impegni?
«Anche la mia esperienza al di fuori dell’azienda è frutto della grande lungimiranza di mio padre, che fin da subito ha insistito perché io mi confrontassi con altre realtà esterne alla Streparava. Allora lui si occupava in prima persona della parte operativa e io sondavo, per certi versi senza esserne troppo consapevole, nuove opportunità di sviluppo. Pensi che nel 1967 feci un’esperienza bellissima (durata quattro mesi) negli Stati Uniti, durante il Junior executive training program all’Università del Massachusetts. Lì, per la prima volta in vita mia, sentii parlare di human resources. Un ambito dell’attività d’impresa che in Italia venne preso in considerazione solo molti anni dopo. Ritengo che anche la visita di un’azianda possa rivelarsi un’opportunità per raccogliere importanti spunti».
Oggi si richiama spesso il termine «contaminazione», ma se penso alla nostra provincia, denoto che il rapporto tra aziende e università è ancora poco fecondo.
«Concordo, il mondo imprenditoriale e quello universitario fanno ancora fatica a colloquiare. Peccato. Dobbiamo fare di più. Il sistema Brescia deve superare questo limite da città-provinciale».
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