Economia

Poligrafica SF, piccoli azionisti ribadiscono: «No al delisting»

Lunedì l’assemblea per la fusione con Campi Il rischio? Restare con un pugno di mosche in mano
Gruppo  Poligrafica San Faustino macchine rotative - © www.giornaledibrescia.it
Gruppo Poligrafica San Faustino macchine rotative - © www.giornaledibrescia.it
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«Voto contrario al delisting» e «riproposizione dell’azione di responsabilità» nei confronti degli amministratori.

Dietro l’assemblea straordinaria di Poligrafica San Faustino, in programma il prossimo 14 giugno a Castrezzato, si sta consumando una piccola battaglia: quella tra gli azionisti di minoranza e la famiglia Frigoli che detiene il 48,1% del capitale della quotata (ma che in forza del voto maggiorato conta circa il 64,9% del capitale votante).

Il piano. Le assise saranno chiamate a deliberare la fusione per incorporazione di PSF in Campi srl, società controllata dai fratelli Alberto, Giuseppe, Emilio, Francesco e Giovanni Frigoli (proprietari ciascuno della quota del 20%). La fusione mira a dare seguito al progetto presentato lo scorso anno con l’Opa su PSF fallita dopo aver raccolto solo lo 0,44% poi restituito agli azionisti). La fusione mira all’uscita della società da Piazza Affari, mentre Campi verrebbe trasformata in Spa e acquisirebbe il nome di Poligrafica San Faustino.

La minoranza non ci sta. A puntare i piedi è un gruppo di azionisti di minoranza, che attualmente rappresenta il 13,714% del capitale, ed ha deciso di fare fronte comune promuovendo (con comunicazione a PSF, alla Consob, a Borsa Italiana e a Monte Titoli) la «sollecitazione deleghe» nei confronti dei soci per votare in modo «contrario» alla proposta di delibera del Cda. Le minoranze chiedono inoltre la distribuzione di un dividendo straordinario di 2,25 euro per azione; ed una nuova azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. Il gruppo di azionisti - assistiti dallo studio Redaelli di Monza, specializzato nella tutela degli investitori, in particolare le minoranze - contesta, tra l’altro, il fatto che l’operazione proposta pare essere vantaggiosa per gli azionisti di maggioranza e svantaggiosa per gli altri.

Le ragioni. «La minoranza perderebbe tutti i diritti del TUF (Testo Unico delle Finanze) - ci spiegano gli azionisti -, ovvero la possibilità di essere rappresentati negli organi di governo della società; gli azionisti di maggioranza rafforzerebbero il loro controllo, mentre i piccoli sarebbero indotti a consegnare le azioni a un prezzo inferiore a quello dell’Opa ed inferiore ai valori medi indicati dall’ultima perizia di Deloitte su incarico del Tribunale di Brescia. La prospettiva di mantenere le azioni PSF sembra sconsigliata anche dalle ultime risposte alle domande preassembleari in cui il management ha dichiarato che non sono previste politiche di distribuzione del dividendo, né quest’anno né i prossimi esercizi, mentre in materia di remunerazioni sono previsti premi di risultato per gli amministratori».

Le montagne russe del titolo. Fermare il progetto dei Frigoli è quasi una «mission impossible», ma considerato l’andamento del titolo a questi investitori non si può dare torto. Qualcuno ricorderà ai tempi della new economy italiana le acrobazie borsistiche dei titoli, compresi quelli di Poligrafica: i Frigoli sono stati abili a quotarsi al momento giusto, quando i risparmiatori italiani facevano a gara per accaparrarsi le azioni di qualsiasi quotata. Lo sbarco in Borsa è dell’ottobre 1999 a 71.642 lire (37 euro) con un collocamento che fruttò circa 11,1 milioni di euro (1/3 agli azionisti di maggioranza, il resto affluì nella società). Il titolo PSF arrivò a metà marzo 2000 a superare i 200 euro: un rialzo del 440% in 5 mesi e mezzo per quella che veniva considera una sorta di Amazon italiana grazie al sito «casarossi.it» (che oggi non c’è più) dove si potevano ordinare online biglietti da visita, fare e-commerce e e-publishing. Dal giorno della quotazione, chi avesse puntato sul titolo PSF avrebbe perso ben oltre l’80% dell’investimento e chi avesse comprato ai massimi del 2000 perderebbe oltre il 90%. Agli azionisti che in assemblea non voteranno la delibera di fusione spetta il diritto di recesso. Ma per le minoranze - che hanno in carico il titolo a prezzi elevati e giudicano PSF una realtà solida - il delisting è visto come fumo negli occhi.

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