Economia

Il ministro Orlando: «Si rischia di sprecare fondi Pnrr»

Per il titolare del dicastero del Lavoro, ospite di Agorà bresciana, è fondamentale rafforzare il ruolo industriale delle aziende italiane
Il ministro del Lavoro Andrea Orlando - © www.giornaledibrescia.it
Il ministro del Lavoro Andrea Orlando - © www.giornaledibrescia.it
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Sul fronte del Pnrr «noi in molti settori rischiamo di buttare una marea di soldi senza far crescere le filiere». Così il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, intervenuto ieri all’agorà «L’industria nella sfida della transizione ecologica», organizzato dalla segreteria del Pd bresciano.

«Dovremmo cominciare ad utilizzare la parola programmazione un po’ meno sottovoce - sottolinea Orlando -. Intanto rendiamo più selettiva l’industria 4.0 e decidiamo quali sono quelle 5-6 filiere in cui concentrare le risorse che lo Stato è in grado di investire. E proviamo a dire ai grandi player energetici di avvicinare il loro posizionamento nella lettura del processo; sarebbe già un passo avanti». La discussione tra acceleratori e rallentatori «non può esistere» e neppure l’ipotesi di prendersela con calma, pena accettare l’ineluttabilità della crisi climatica.

Un «assillo» per il ministro, che dovrà guidare l’agenda già dalle prossime settimane, perché se la messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza «non trattiene quanto più possibile di investimenti nella crescita del ruolo industriale dell’Italia, avremo fatto una curetta ricostituente ad un Paese che poi però perde nerbo perché non ha la struttura ossea per stare in piedi da solo».

Sul fatto che la doppia transizione ecologica e digitale rappresenti una grande occasione, l’accordo è unanime. Il problema risiede nel come realizzarla: la transizione, che toccherà una serie di settori (dall’automotive alla meccanica, dalla produzione di beni e servizi all’agroalimentare) e che «produrrà vincitori e perdenti», non può essere affrontata in maniera contingente, ma va anticipata, tenendo come faro la tutela del tessuto connettivo industriale, guidandone la trasformazione con gli opportuni incentivi e con gli strumenti dell’innovazione; minimizzando le perdite occupazionali e non dimenticando l’impatto che essa avrà sulla dimensione sociale.

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Urge, in pratica, definire un patto nazionale per la transizione, da declinare nei singoli territori. Nel dibattito tra Antonio Misiani e Chiara Braga (segreteria nazionale Pd), Pierluigi Bersani (deputato Art. 1) e i segretari delle organizzazioni sindacali Roberto Benaglia (Fim Cisl), Gianna Fracassi (Cgil), Tiziana Bocchi (Uil), è centrale il tema delle risorse per la riconversione dell’automotive (il Governo proprio l’altro ieri ha varato un fondo unico pluriennale di 1 miliardo per il comparto), ma senza obbedire ad un pensiero unico, bensì utilizzando una gamma di tecnologie disponibili, dall’idrogeno verde al biometano.

Il vice presidente Confindustria, Maurizio Marchesini, parla di «forte preoccupazione» tra le imprese per tempi e modi «non basati su dati tecnologici, ma aspetti idelogici» e «tagliando molte altre ricerche con cui si possono ottenere gli stessi obiettivi; non possiamo ridurre tutto al motore elettrico». L’allarme è stato peraltro lanciato da Federmeccanica, che stima con il passaggio dall’endotermico all’elettrico una perdita di lavoro per 73mila addetti.

La priorità è valutare - lo rileva nella sua analisi Edo Ronchi, presidente Fondazione per lo Sviluppo sostenibile - gli impatti economico-sociali che il fallimento della transizione produrrebbe, nell’affossare l’intera economia europea: «I costi della transizione nel breve termine saranno irrisori rispetto ai costi del cambiamento climatico. Per impedirlo, i Paesi industriali più avanzati si pongano alla testa del cambiamento ed interpretino la sfida in maniera attiva». C’è anche la voce di una multiutility con radici bresciane, A2A, che, lo riferisce il presidente Marco Patuano, investirà risorse proprie pari a 16 miliardi di euro, nei prossimi dieci anni, di cui circa il 60% nella transizione energetica e il 40% nell’economia circolare.

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