Fornasini: «Un 2023 difficile: la ripresa dalla seconda metà dell’anno»

Se il 2022 si è chiuso nel segno dell’incertezza per la nostra economia, sul 2023 si addensano le preoccupazioni sollecitate dall’alta inflazione (con la conseguente stretta monetaria di Bce e Fed), dagli esiti incerti della guerra in Ucraina e dall’incombente recessione evocata da molti osservatori ed organismi internazionali.
«Sui mercati domina la volatilità in attesa delle prossime mosse delle banche centrali - spiega Achille Fornasini, docente dell’Università degli Studi di Brescia - e di più precise valutazioni sulle ricadute della recrudescenza pandemica in Cina».
Come si prospetta la congiuntura del 2023?
«Il primo semestre del nuovo anno si profila complicato e depresso soprattutto a causa di due variabili: l’inflazione e le incognite suscitate dalla guerra in Ucraina con le sue ripercussioni sugli approvvigionamenti energetici. Ciò malgrado, la vitalità e la resilienza delle nostre imprese continua a dimostrarsi davvero straordinaria».
L’inflazione è destinata a persistere?
«L’aumento dei prezzi alla produzione e al consumo è l’insidia più preoccupante, determinando da un lato la necessità di politiche monetarie restrittive, dall’altro l’erosione della marginalità delle imprese e del potere d’acquisto delle famiglie. Le stime lasciano presagire il rientro dell’inflazione entro i prossimi due anni, ma i livelli tenderanno purtroppo ad assestarsi su livelli medi più elevati rispetto agli obiettivi delle banche centrali. Molto dipenderà da come evolverà la crisi energetica».
Continuerà a pesare il caro bollette sulle imprese?
«Le difficoltà resteranno soprattutto in Europa dove il quadro geopolitico resta difficilmente prevedibile. Con una tregua bellica assisteremmo alla progressiva normalizzazione delle quotazioni del gas. Ma le probabilità che ciò accada sono al momento scarse. Più verosimilmente proseguirà la guerra di logoramento: situazione che alimenterà la volatilità dei prezzi, particolarmente dopo l’inverno, quando l’Europa dovrà ricostituire le scorte di gas senza poter contare sulle forniture dalla Russia».
Il price cap potrà favorire la soluzione del problema energetico?
«Anche ammesso che il meccanismo europeo entri davvero in funzione, la convinzione che il mercato possa essere imbrigliato è illusoria. Il price cap potrebbe rivelarsi utile nel caso in cui si replicasse l’ansiosa corsa agli acquisti, che nell’agosto scorso aveva spinto il gas a valutazioni folli. In caso di nuove tensioni, il tetto rischia addirittura di diventare una sorta di catalizzatore, attirando a quel livello le quotazioni del gas prescindendo dal reale equilibrio tra domanda e offerta».
I prezzi di molte materie prime sono comunque diminuiti, per quale ragione?
«Per due anni si è accumulata una quantità straordinaria di scorte di materie prime e semilavorati a monte e a valle delle imprese nell’attesa di una crescita planetaria persistente e di prezzi in continua ascesa che giustificava l’anticipazione degli acquisti per evitare ulteriori rincari: un fenomeno che di fatto concorreva ad alimentarli. La corsa agli acquisti si è esaurita un anno fa, quando hanno preso il sopravvento le attese meno ottimistiche sulla domanda per le apprensioni legate al conflitto russo-ucraino, le ricadute della politica Zero-Covid in Cina e le manovre restrittive adottate dalle banche centrali».
E quindi cosa è accaduto?
«I prezzi hanno iniziato a ripiegare. Anche l’ultimo fattore che giustificava livelli elevati di scorte, ovvero i ritardi nelle consegne conseguenti allo sfilacciamento delle catene di fornitura, si è andato ridimensionando. La caduta dei prezzi delle materie prime osservata nella seconda parte del 2022 sta peraltro creando le condizioni per nuovi ri-stoccaggi a prezzi convenienti».
Le nostre imprese debbono dunque attendersi nuovi aumenti dei prezzi delle materie prime?
«Allo stato attuale la penuria di materie prime non rappresenta l’assillo principale delle imprese, ma probabilmente tornerà ad esserlo in futuro. Nonostante i forti rincari delle materie prime registrati tra il 2020 e il 2021, le società minerarie non hanno fatto gli investimenti necessari per ripristinare l’equilibrio tra domanda e offerta. I mercati possono ritrovarlo solo attraverso la riduzione della domanda, che in effetti si sta già realizzando come conseguenza del rallentamento economico in atto. Tuttavia, anche qualora si allentassero le pressioni sulle materie prime, la contrazione delle scorte e la limitata capacità inutilizzata contribuirebbero a mantenere i prezzi dei materiali basilari su livelli elevati. Un più deciso recupero delle quotazioni delle commodity nel 2023 sarà innescato nuovamente dalla Cina, quando si esaurirà la nuova fase emergenziale per l’epidemia».
Ci si avvia dunque verso la depressione e la recessione?
«Nel complesso, nel 2023 la crescita economica mondiale sarà modesta proprio a causa della frenata dell’economia cinese, destinata a ripercuotersi non solo in Asia, ma anche a livello globale. Mi aspetto che i mercati reagiscano di conseguenza, essendo il Dragone tra i maggiori importatori di materie prime e un grande esportatore di semilavorati e manufatti. La minore tensione sui prezzi delle materie prime dovuta alla stagnazione economica avrà d’altra parte un effetto benefico sull’inflazione che, prevista in discesa, potrebbe indurre le banche centrali a adottare politiche monetarie più accomodanti, favorendo l’avvio di una timida ripresa nella seconda metà del 2023».
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