Energia e materie prime alle stelle fermano acciaierie e fonderie

Una crisi senza precedenti e che non si risolverà nel breve periodo. Con il passare dei giorni si materializzano con tutta la loro drammaticità le conseguenze del conflitto russo-ucraino per la nostra economia.
Il primo a lanciare l’allarme era stato il presidente di Confindustria Brescia, Franco Gussalli Beretta: «Con gli attuali costi dell’energia è a rischio la produzione del nostro Paese e di conseguenza numerosi posti di lavoro». Ieri il «Pun», ovvero il prezzo di riferimento dell’energia elettrica rilevato sulla borsa italiana, ha toccato record impensabili, con una media di 587 euro/Mwh, quando nello stesso periodo 2020 il costo era di 38,92 euro (nel 2021 circa 125 euro).
Doppia tenaglia
Il dramma dell’energia (perché così lo definiscono alcuni imprenditori nella consapevolezza che il vero dramma è quello delle popolazioni ucraine) va di pari passo con quello delle materie prime che tocca trasversalmente tutti i settori: siderurgia, metallurgia, ma anche agricoltura e agroalimentare. Nelle prossime settimane sul mercato inizieranno a scarseggiare pani di ghisa, preridotto, billette, bramme e ferroleghe, storicamente importate proprio dall’area russo-ucraina. Di pari passo verranno a mancare soia e mais per i mangimi degli animali in agricoltura ed il grano per la produzione della pasta.
Ieri le prime avvisaglie: le acciaierie e le fonderie bresciane hanno annunciato i fermi: la Ori Martin di Brescia, dopo lo stop della settimana scorsa, prolungherà le fermate; cancellazione di turni si segnalano all’Alfa Acciai e oggi resteranno a casa anche gli addetti del secondo turno del Laminatoio; sospensioni, da decidere di giorno in giorno, anche per Feralpi. Chiusure programmate nelle fonderie: su tutte Fonderia di Torbole che annuncia da domani lo stop degli impianti per 10 giorni. Nessuna decisione è stata presa da Fonderie Glisenti di Villa Carcina: «Monitoriamo le quotazioni minuto per minuto - spiega Roberto Dalla Bona -. Sono in riunione permanente col management. Restare aperti potrebbe significare produrre con forti perdite». Il momento è drammatico, spiega Enrico Frigerio, la sidermetallurgia è settore «cerniera» della nostra economia, se si fermano fonderie e acciaierie, a cascata si blocca l’intera manifattura.
I timori
Le ripercussioni della crisi sono destinate a produrre cambiamenti duraturi. «Stiamo vivendo aumenti di costo mai visti prima. L’Europa produce 160 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, prodotte per la metà da rottame e per la metà da ciclo integrale - spiega Giovanni Marinoni Martin, presidente del settore Siderurgia Metallurgia di Confindustria Brescia -. Russia e Ucraina producono circa 15 milioni di tonnellate di prodotti siderurgici che stanno alla base della produzione siderurgica europea». In questi giorni sono andati alle stelle i prezzi di rottame, ghisa, nichel, rame, stagno e zinco. «Il problema non è solo il fermo delle produzioni in Ucraina. Anche se la guerra finisse oggi, rimane un problema di logistica e di infrastrutture distrutte negli attacchi - chiosa Marinoni -. Ma soprattutto resterebbero in vigore per lungo tempo le sanzioni. Mercati alternativi? Ci sono, ma le produzioni ucraine e russe sono qualitativamente più adatte alle nostre soluzioni».
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Una politica energetica
Le imprese chiedono che il tema energia torni al centro dell’agenda politica nazionale. Lo ribadisce anche Roberto Ariotti, vice presidente di Assofond: «Il rischio di rimanere nelle prossime settimane senza energia è concreto - dichiara -. Il Governo italiano non trasmette al Paese la giusta sensibilità sulle conseguenze economiche di questa guerra». «Non è cinismo rispetto al dolore di tanta gente che fugge dalle bombe, è un dovere di responsabilità - conclude Ariotti -. Bisogna subito ridurre ogni consumo discrezionale, bisogna iniziare a stringere la cinghia, anche con misure impopolari: come l’obbligo di limitare il riscaldamento a 18° nelle abitazioni e negli edifici pubblici; invitare fortemente all’uso delle automobili solo per necessità e se possibile non da soli; ridurre lilluminazione serale, pubblica e privata. Non possiamo continuare a consumare come se nulla fosse cambiato».
La strada per una nuova politica energetica è stata indicata dall’Unione Europea e ribadita con forza dal presidente di Confindustria Brescia: «Diventa fondamentale creare rigassificatori e aumentare drasticamente nei prossimi anni la quota di Gnl liquido via mare, diversificando al massimo i Paesi di provenienza - precisa Gussalli Beretta -. Va inoltre potenziata la quota strutturale di energia da rinnovabili riservata alle imprese; sburocratizzazione per velocizzare il processo, ma anche arrivare a un forte aumento dell’estrazione delle riserve nazionali di gas».
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