Cresce il numero delle pensioni ma cala il valore reale
Nell’ultimo fine settima abbiamo assistito all’ennesima diatriba sul tema delle pensioni. In estrema sintesi, la Cgil ha accusato l’Inps (e di conseguenza il governo) di aver aggiornato senza darne formale avviso i software per il calcolo dell’agognato assegno di quiescenza, aumentando dal 2027 di tre mesi l’età di accesso alla pensione, in base all’innalzamento delle aspettative di vita. Nella tarda serata di venerdì, goffamente l’Istituto della previdenza ha prima smentito il sindacato e poi corretto i suoi simulatori.
Contestualmente il presidente della Commissione di controllo sull’attività degli enti previdenziali, il leghista Alberto Bagnai ha garantito che al momento non ci sono nuove norme che giustifichino uno «scatto» in avanti dell’età pensionabile di tre mesi.
Sostenibilità
La sostenibilità del sistema pensionistico italiano, comunque, resta una questione aperta e che non sarà possibile rimandare all’infinito. Per diverse ragioni, a partire da quella economica: ad inizio autunno, l’Inps ha lanciato il primo allarme sulle troppe uscite anticipate, tali da creare uno squilibrio delle casse dell’ente pubblico.
Inoltre, dal punto di vista sociale, dal 2020 in avanti emerge in maniera sempre più netta la perdita di potere d’acquisto dei pensionati. In particolare di quelli a cui è stata calcolata la legittima rendita perpetua con il metodo contributivo, in base appunto all’ammontare dei contributi versati durate la loro carriera lavorativa.
Sotto la lente
Due aspetti critici che si riscontrano anche esaminando i dati Inps di Brescia. A fine 2019, prima che scoppiasse la pandemia da Covid, nella nostra provincia venivano mensilmente accreditate oltre 428mila pensioni per un importo medio di 13.646,32 euro l’anno (poco più di 10.500 euro netti). Quasi il 60% di questi assegni (253.582 per la precisione)erano riconducibili a ex lavoratori pubblici e privati, che rispetto alle rendite di natura assistenziale (riconducibili oltre che alle omonime pensioni anche a quelle di invalidità, superstite e indennitarie), riportano un valore medio decisamente superiore, pari a 17.627,88 euro (pressapoco 13.520 euro netti).
Passato un lustro, smaltiti i postumi più pesanti dell’emergenza sanitaria e tenendo conto anche dei alcuni «scivoli» concessi dai governi passati, il quadro previdenziale bresciano ha subito alcune modifiche. Anche nella nostra provincia è aumentato il numero complessivo degli assegni erogati: si è passati dai 428mila del 2019 ai 441.521 del 2023. Oltre il 31% delle rendite (269.381 contro le 253.582 del 2019) fa capo ad ex lavoratori e il loro valore medio è salito da 20.199,26 euro (circa 15.449 euro netti l’anno).
Se si considerassero pure le prestazioni di natura assistenziale, l’importo medio delle pensioni erogate a Brescia alla fine del 2023 ammonterebbe a 15.777,20 euro (intorno ai 12.130 euro netti l’anno) e anche da questa prospettiva risulta in crescita rispetto ai dati del 2019.
La realtà
In realtà, nell’arco di cinque anni, il valore effettivo delle pensioni stanziate nel nostro territorio è diminuito ed è abbastanza semplice rilevarlo. L’Istat definisce che il coefficienti di rivalutazione monetaria calcolato dal dicembre 2019 a fine 2023 corrisponda a 1,16. Pertanto, se moltiplichiamo quest’indice per il valore medio annuo delle pensioni erogate nel 2019 (13.646,32 euro), scopriamo che l’ipotetico assegno rivalutato ammonterebbe a 15.830 euro lordi l’anno. Una cifra leggermente superiore (+0,33%) a quanto riconosciuto in media (15.777,2 euro) a ogni pensionato bresciano nel 2023.
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