«Brescia è una città viva che sa reagire e innovare, il futuro passa da qui»

«Vengo a Brescia regolarmente. Ci vivono mia madre, i miei cugini e gli zii. Qui ho tanti amici. Per me Brescia è casa». Giovanni Gorno Tempini, classe 1962, è il manager che non ti aspetti. È lo schivo e riservatissimo bresciano a cui è stata affidata la presidenza di Cassa Depositi e Prestiti, la cassaforte - controllata per l’83% dal ministero dell’Economia e per il 16% dalle Fondazioni bancarie - che gestisce il risparmio postale di 26 milioni di italiani. È l’uomo che ha studiato all’Arnaldo, che si è laureato all’Università Bocconi di Milano nel 1987, che ha raggiunto ruoli apicali in Jp Morgan, Intesa Sanpaolo e poi Mittel, vivendo tra Milano, Londra e Roma, ma senza mai sciogliere quel nodo che lo lega indissolubilmente alla sua città natale.
Non ama la luce dei riflettori e per la prima volta si racconta al Giornale di Brescia, aprendo le porte della sede di Cdp di via San Marco a Milano.
L’incontro avviene alla vigilia dell’inaugurazione dell’ufficio territoriale di piazza Loggia. «Brescia riesce sempre a stupirmi per la sua concretezza straordinaria, legata con animo del fare che è imprenditoriale, ma non solo. La stessa concretezza oggi viene posta nel fare cultura: penso ad esempio a quello che è diventata Brescia Musei, alla Pinacoteca, alle mostre. I bresciani hanno saputo valorizzare luoghi che in passato davamo per scontati, come il castello. La città è diventata attrattiva e può assumere un ruolo importante sotto il profilo artistico e culturale. Ma quando penso a Brescia penso anche alla mobilità, a infrastrutture evolute come la metropolitana; all’efficienza invidiabile di A2A che è anche una ricchezza per il Paese e per gli azionisti di riferimento».
Ma abbiamo perso la banca.
«Non sono d’accordo. C’è un problema di fondo da non dimenticare: il nostro Paese ha la necessità di avere delle imprese di maggiori dimensioni. Il sistema imprenditoriale, ma anche quello finanziario, hanno bisogno di operatori che sappiano coniugare una dimensione che permetta ambiziosi programmi di investimento con una efficace presenza sul territorio».
Non è una questione di bandiera o di cuore, quindi, è il concetto «piccolo è bello» che va stretto.
«Mio bisnonno Cristoforo fu tra i fondatori del Cab e da qualche parte nella sede del vecchio Credito c’è il suo ritratto insieme a quello di tutti i fondatori. Le questioni di cuore ci sono, come ci sono imprese di dimensioni ridotte che prosperano e crescono. Ma le domande che ci dobbiamo porre sono altre: a Brescia il credito è un problema oppure no? I servizi pubblici sono un problema oppure no? A me pare che né gli uni, né gli altri rappresentino un vincolo allo sviluppo dell’economia della città. Le sfide che ci attendono per transizione energetica, digitale, per la modernizzazione del Paese, richiedono investimenti rilevanti che non possono prescindere da una dimensione adeguata».
In queste sfide quale può essere il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti?
«L’attenzione è alta e il ruolo di Cassa è stato ed è quello di continuare a essere vicini alle aziende del territorio da un punto di vista di accesso alla liquidità e al credito, al fine di offrire le migliori forme di garanzia per investimenti e internazionalizzazione. Una presenza e un legame che si riscontrano anche per le attività di private equity e per il venture capital, che rappresentano per Cdp asset importanti per il sostegno dell’economia. La Cassa opera sia dal lato del credito, sia del capitale di rischio per quelle imprese che si aprono a nuovi investitori. Sono ottimista, abbiamo sempre mostrato grande capacità di reazione, soprattutto nei momenti difficili».
Come durante la pandemia?
«Brescia è stata un esempio. Ha reagito alla tragedia con forza e dignità straordinarie. Ha sopportato la sofferenza grazie al carattere delle persone da sempre abituate ad affrontare avversità».
Lei ha fatto anche parte della task force guidata dal ministro Vittorio Colao, per guidare la fase due della ripartenza
«È vero, ritenevo che, come presidente di Cdp, fosse mio dovere dare il mio contributo. Ma mi lasci dire una cosa: mi piace molto l’idea che Brescia e Bergamo siano state nominate insieme capitale italiana della cultura. È un segnale importante: due città ovviamente vicine da sempre, ma il cui dialogo non sempre è stato ai livelli ai quali idealmente si sarebbe potuto sviluppare».
Quali sfide si aprono per la nostra economia alla luce del post Covid?
«La forza dell’industria e dei servizi di Brescia sintetizza le sfide che dovrà affrontare il Paese nel prossimo decennio. Mi riferisco alla manifattura, con la meccanica e la siderurgia impegnate in una complessa transizione energetica. Per il settore automotive questa sfida è doppia: a quella energetica esplosa in maniera drammatica con il conflitto, si aggiunge la necessità di adattarsi a un mercato che cambia col passaggio dal motore endotermico a quello elettrico. Il tema cruciale è quello dell’innovazione, che riguarda energia, digitale, e la capacità delle aziende di adattarsi e incamerare le nuove tecnologie».
L’automotive, solo a Brescia, genera un business da sei miliardi di fatturato l’anno. Come la Cassa sostiene le filiere in difficoltà?
«Continuando a essere vicina alle imprese nell’accesso al credito e alla liquidità; assicurando le necessarie forme di garanzia a sostegno degli investimenti (in particolare per l’internazionalizzazione). E con una presenza importante nell’attività di private equity, attraverso Cdp Equity, e nel venture capital, con Cdp Venture Capital, uno degli operatori trainanti del mercato. L’automotive è uno dei settori attualmente oggetto di riflessioni specifiche rispetto agli interventi possibili».
Cdp è sempre stata percepita un po’ lontana dai territori. Ora apre un ufficio a Brescia, con quali obiettivi?
«La Cassa è una istituzione che per sua natura, storia e ruolo ha un cuore pulsante a Roma. Ma, da tre anni a questa parte, si è deciso di avviare una politica di maggior decentramento e vicinanza ai territori, alle imprese e agli enti pubblici nelle principali aree del Paese, come nel caso della Lombardia, dove ora alla sede di Milano affianchiamo la presenza di Brescia che avrà una influenza anche su altre province della regione. L’esperienza che ne abbiamo tratto è positiva: la risposta dei territori è stata buona, sono aumentati i volumi di attività e il dialogo con enti locali e imprese».
Come cambierà il livello di interazione tra Cdp e imprese?
«La presenza sul territorio aiuta il dialogo. Abbiamo osservato che dove abbiamo aperto gli uffici territoriali negli ultimi anni, si è verificato un incremento significativo delle imprese servite e delle risorse erogate pari al 20-30%. In questo modo, avendo la possibilità di una interazione diretta, l’imprenditore è invogliato a contattarci per fare proposte o presentare progetti e anche il rapporto con gli enti locali è facilitato. In questo senso, l’ufficio di Brescia avrà un ruolo di consulenza per tutta l’area di riferimento che abbraccia le Province di Bergamo, Cremona e Sondrio».
Come aiutare le imprese a crescere e a vincere le sfide industriali?
«Cdp è un soggetto promotore: il nostro compito è sostenere le imprese e gli enti locali in modo tale che questi soggetti possano tradurre le loro proposte in progetti concreti. Nei confronti delle aziende svolgendo attività di advisory. Per quanto riguarda, invece, l’advisory per il Pnrr va sottolineato che, secondo quanto definito dall’accordo quadro siglato lo scorso 27 dicembre con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Cdp sostiene le amministrazioni centrali e gli enti locali. L’intesa siglata porterà alla definizione di "piani di attività" per ciascun ministero che conterranno una descrizione puntuale delle iniziative da svolgere. Il tutto con particolare attenzione ai temi della sostenibilità".
Per gli imprenditori è esigua la parte dei fondi del Recovery destinata alle imprese. È vero?
«Il Pnrr affida molte risorse al sistema imprenditoriale. Si può sempre fare di più, ma io credo che questo sia un Piano che, per ampiezza e dimensioni, non ha precedenti nella storia italiana. Molta della progettualità del Recovery sarà frutto del lavoro congiunto tra capitali privati e pubblici. In questo momento storico abbiamo la possibilità e il dovere di investire pensando a scelte che possano generare un futuro migliore per una crescita attenta a temi nuovi. L’ammontare del Pnrr potrà avere un peso tanto maggiore quanto più i progetti saranno il risultato di questa partnership. Se l’interazione si rivelerà efficace il moltiplicatore dei fondi sarà elevato».
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