Acciaio, 2025 cruciale: «Rilancio dopo la fine delle guerre»

L’inizio anno della siderurgia bresciana e italiana è piatto e incerto, caratterizzato da produzioni fiacche e consumi stagnanti in linea con l’andamento del 2024. Le prospettive per questo 2025 ancora tutto da costruire però non sarebbero così nere.
A provare a dare coraggio ai fonditori dell’acciaio e a trovare spiragli di ottimismo è stato ancora una volta il presidente di Federacciai e patron di Duferco Antonio Gozzi, ospite di Siderweb. L’imprenditore bresciano-genovese, intervenuto al convegno «Duemilaventicinque, tra attese e speranze per l’acciaio italiano», si è detto convinto che «quest’anno potranno succeder anche cose buone, a partire dalla conclusione delle due guerre di Ucraina e Palestina.
Il termine dei conflitti potrebbe infatti non essere così lontano, e sarebbe un toccasana umanitario ma allo stesso tempo contribuirebbe al rilancio del mercato dell’acciaio, aprendo un grosso ambito di richiesta di materiali per dare corpo alle enormi ricostruzioni», essendo i due Paesi bisognosi con urgenza di rimettere in piedi città e cittadine, tra strade, ponti, edifici pubblici, aree industriali e in generale una mole enorme di infrastrutture.
Il peso di Trump
«A concretizzare la speranza – secondo Gozzi – toccherà al nuovo presidente Usa, Donald Trump, di ormai prossimo insediamento, sulle cui spalle peserà buona parte del peso dei negoziati e del loro buon esito, come ai negoziati sarà affidato il destino prossimo delle esportazioni europee negli Stati Uniti, l’importazione di gas liquido da oltre Atlantico e il livello delle spese militari».

Nella disamina del numero uno di Federacciai, moderata da Emanuele Norsa, sono entrati come elementi cruciali anche le scelte economico-industriali dei governanti dell’Unione Europea, il peso della Cina nel commercio mondiale dell’acciaio e il sempre caldissimo tema del costo dell’energia.
Per l’Ue non ci sono state parole tenere. Gozzi ha parlato di «assenza di politiche industriali» e di «inettitudine» rispetto alla «decisione di non concretizzare la creazione di un’area di libero scambio, quindi priva di dazi, che avrebbe coinvolto il nostro continente, gli Usa e altri importanti Paesi mondiali. La conseguenza è che oggi, nei prossimi confronti, i nostri Paesi partiranno da un livello di dazi del 25%».
Le elezioni in Germania
Dall’Europa però potrebbero arrivare anche provvedimenti positivi, «se la coalizione partitica Cristiano democratica e Cristiano sociale (Cdu e Csu), favorita alle prossime elezioni, manterrà la promessa di lavorare per togliere i 16 miliardi di euro di multe comminati alle case automobilistiche che non hanno rispettato i dettami in tema di transizione ecologica». La situazione cinese e le decisioni industriali del Dragone invece sono un «potenziale pericolo da tenere bene sotto controllo».
A renderle tali è «una produzione gigantesca che l’anno scorso ha raggiunto i 100 milioni di tonnellate di acciaio esportato, con cui la Cina ha invaso il resto del mondo. Considerato che India, Tailandia e altri Paesi del sud-est asiatico stanno ereggendo barriere protezionistiche, a rischiare di subire l’espansione di questo surplus produttivo è l’Europa, perché è la più aperta ai commerci con i cinesi».
Energia
L’analisi di Gozzi si è conclusa con i costi dell’energia: «come è possibile per il sistema Italia allinearsi ai competitors europei?». Per l’industriale ligure, di recente, qualche passo in avanti è stato fatto. «Grazie all’intervento del governo per esempio si è mitigata la differenza di prezzo dell’energia», ma come messo in mostra dal professor Achille Fornasini (Università di Brescia), «il kiloWatt/ora elettrico oggi costa circa 135 euro in Italia, 90 in Gran Bretagna, 100 in Germania, 70 in Francia e 110 in Spagna. Il gas invece è in costante aumento e in Italia ha raggiunto i 48 euro al KiloWatt/ora, quando per esempio negli Stati Uniti costa 13, meno di un terzo».
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