Cultura

Viaggio nella dimensione del performer: «Un concetto in metamorfosi»

Sara Polotti
Come cambia il lavoro del palcoscenico: a Flero si terrà un laboratorio dal 19 al 21 aprile con la regista Monica Conti. Iscrizioni entro il 30 marzo
La regista bresciana Monica Conti
La regista bresciana Monica Conti
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La regista Monica Conti vuole mettersi a disposizione per fare scoprire agli attori le proprie doti partendo dalle caratteristiche personali. E per farlo – come già fece a Sarsina con un laboratorio su Plauto – mischierà professionisti e non professionisti per un confronto produttivo e bilaterale.

Il suo laboratorio «Attore dell’oggi – Dall’interpretazione alla performance» si terrà al Teatro «Le Muse» di Flero, via Aldo Moro 109, dal 19 al 21 aprile e sarà nei fatti una tre giorni di full immersion per quindici partecipanti (le ultime iscrizioni vanno inviate entro il 30 marzo a dir@teatrolaboratoriobrescia.net, con un curriculum o una breve lettera motivazionale).

Nel frattempo l’abbiamo intervistata.

Monica Conti, che cosa significa oggi fare l’attore o l’attrice? È una professione accessibile?

Fare l’attore è sempre stato molto difficile, come tutte le professioni artistiche. Questo laboratorio è indirizzato proprio all’attore dell’oggi, perché il concetto è in grande metamorfosi. In Italia è anche sconosciuto: tutti sono attori, e nessuno lo è. È difficile, perché presuppone una costante messa in discussione di sé. A livello istituzionale, poi, gli attori non sono mai stati tutelati.

L’interpretazione è cambiata nel tempo? C’è qualche moda o tendenza?

Oggi sicuramente ogni attore è anche autore e performer, che poi è ciò che accadeva in passato con i grandi professionisti. Non dovrebbe essere mai solo un interprete, ma anche un creatore. Oggi c’è più consapevolezza di questo. L’attore vuole essere attore di cose che nascano da lui, usando tanti mezzi. E quindi si avvicina alla dimensione performativa. Il problema è la preparazione, in questa vastità. Il lavoro su di sé deve essere approfondito. Si deve quindi diventare performer, e non solo interpreti. Risolutori di questioni che ribaltino la regia. Ecco che cosa è cambiato. E la regia è più femminile: meno verticistica. Tutte le componenti artistiche partecipano.

Ci sono delle tipologie specifiche, quando si parla di attori?

Un attore dovrebbe essere in grado di andare oltre la propria tipologia. Non dovrebbero esserci archetipi attoriali, sono gli attori ad interpretare gli archetipi. Ci sono, però, gli attori-maschera, che non interpretano un ruolo: sono loro stessi la maschera. E poi ci sono gli attori che interpretano. E c’è chi lavora sul corpo, sulla parola… Più che archetipi, direi che sono possibilità di usare il proprio modo di essere attore, giocando sulle doti naturali.

Nel laboratorio vuole che i partecipanti si approprino con gioia delle proprie caratteristiche attoriali: come si svolgerà il lavoro?

In un laboratorio intensivo di tre giorni non si ha il tempo di conoscersi così a fondo per affrontare certe cose. Ma è un’occasione di incontro e si possono piantare dei semi, che sbocceranno nel lavoro autonomo. I professionisti si mettono in gioco in prima persona – con intelligenza e maturità – e i non professionisti possono rendersi conto degli strumenti degli attori.  // 

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