Val Trompia: in mostra la prima tipografia di Brescia e i suoi Statuta

Nell’ottobre del 1471 il maestro di grammatica Tommaso Ferrando, oriundo di Treviglio ma già attivo a Brescia da alcuni anni, decise di recarsi a Ferrara. Gli balenava in mente un’idea che a molti sarebbe sembrata azzardata, ma di cui in cuor suo era invece pienamente convinto. E pertanto era disposto a rischiare.
L’idea di Tommaso Ferrando
Aveva infatti sentito dire che la nuova tecnica di produzione tipografica inventata in Germania qualche anno prima garantiva una produzione assai più rapida e a costi più contenuti rispetto al libro manoscritto, con notevoli margini di guadagno. Ciò doveva allettarlo, ma ne sapeva troppo poco.
L’«ars artificialiter scribendi», come la chiamavano, era complessa e solo poche maestranze, venute d’Oltralpe, ne erano a conoscenza e avrebbero saputo spiegargliene i segreti aiutandolo nell’impresa di impiantare a Brescia la prima officina in grado di avviare la produzione del libro a stampa in serie. Gli albori della proto-imprenditoria. Gli era giunta voce che nella non lontana Ferrara già lavorassero due operai francesi, André Belfort e Statius Gallus, che facevano al caso suo. Non restava che convincerli a lasciare la gioiosa città degli Este per trasferirsi e assisterlo nella bottega bresciana rivelandogli «omnia secreta huius artis fideliter ac fraterne ac sine ulla occultatione». E così accadde, come assicura il documento notarile datato 17 ottobre 1471.
I torchi Ferrando
Nell’inverno di quell’anno i torchi Ferrando cominciarono dunque a gemere sotto i colpi del torcoliere e si dovettero stampare alcune prove di stampa. Poi nel 1472 si cominciò a fare sul serio stampando alcune opere letterarie, tra cui «L’Acerba» di Cecco d’Ascoli e il «De rerum natura» di Lucrezio.
Ma il pubblico bresciano non gradiva, o le scelte dei titoli erano forse troppo raffinate. Incominciare dal poema filosofico di Lucrezio, per un pubblico prevalentemente di mercanti, artigiani e uomini di Chiesa. Una scelta quantomeno azzardata! Allora il Ferrando cambiò rotta e impegnò tutte le proprie risorse nella benemerita impresa di dare alla città un’edizione completa del corpus giuridico, stampando, tra la fine del 1472 e il 1473, la raccolta in sei parti degli «Statuta» e dei «Pacta daciorum Brixiae». Quale libro poteva essere più necessario, e quindi acquistabile, delle leggi cittadine, che tutti erano tenuti a conoscere e rispettare, doveva pensare.
L’edizione raccoglieva gli Statuti civili, gli Statuti Criminali e infine gli Statuti delle singole categorie di commercianti: gli «Statuta macelli, tabernarum, piscarie, et esculentia vendentium». Ai macellai, a esempio, era innanzitutto prescritto di vendere carne di buona qualità: «De bechariis et de faciendo bonas et pulcras carnes». L’idea era quella di unire l’utile al guadagno. Il Ferrando faceva uscire gli Statuti a dispense, una parte dopo l’altra, tra la primavera del 1473 e l’incipiente estate di quell’anno. Terminata la stampa di una parte si affrettava a metterla in vendita.
La mostra
E proprio alla storica edizione degli Statuta del 1473 – di cui si conservano oggi poco più di una ventina di esemplari in tutto il mondo – è dedicata la mostra organizzata in via San Rocco 5 a Gardone Val Trompia dall’Officina del Torcoliere (dal prossimo 17 novembre fino al 26 gennaio 2025) dal collezionista e appassionato cultore degli studi tipografici Davide Moretti.
Ma si torni al Ferrando e al triste epilogo della vicenda. Le cose andarono diversamente da quanto previsto e, contrariamente alle aspettative, anche economiche, di successo, l’impresa si rivelò fallimentare. Giunto alla fine della quinta parte non gli rimaneva che lamentarsi desolato di come molte delle copie impresse fossero rimaste invendute. Non solo. Qualcuno gli aveva addirittura rifilato delle monete false («adulterina moneta»).
La prima e precoce tipografia bresciana era destinata ad avviarsi a un mesto declino. E al Ferrando non restava che tornare al mestiere usato di maestro, abbandonando, almeno per il momento, i vani sogni di gloria e di subitaneo guadagno.
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