Stupori a Brescia e sul Sebino nel «Giretto» di Guareschi

Quanta strada ha fatto Bartali non lo sapremo, forse, mai. Ma con quasi certezza conosciamo quella che fece, in quegli stessi anni, Giovannino Guareschi. Tra il luglio e l’agosto del 1941 lo scrittore, collaboratore del Corriere della Sera, inforca la due ruote e parte per un viaggio ch’egli definirà il «Giretto»: Milano, andata-ritorno, attraverso l’amata Emilia fino all’Adriatico e, quindi, di nuovo in Lombardia, passando, anche, per la nostra provincia.
È un’estate a tratti surreale: l’Italia è in guerra ma, dopo le prime bombe piovute sulle città, gli effimeri successi dell’Asse sembrano aver allontanato la tragedia che, invece, si abbatterà da lì a poco sul nostro Paese. Perché Guareschi parte in sella alla sua Umberto Dei per quel ciclo-reportage in sei puntate? Come dirà egli stesso «un po’ per giuoco, un po’ per dimagrire», essendo arrivato, con la vita sedentaria e senza orari della redazione, ad una novantina di chili. Il tour, su quella macchina della libertà a pedali che è la bicicletta, permetterà al nostro Guareschi di lasciarci una serie di bozzetti vividi di quell’Italia provinciale fatta ancora di strade bianche e di carri nei campi, il seme di un «mondo piccolo» che di lì a pochi anni sarebbe germogliato nei racconti di don Camillo e Peppone.
E la nostra provincia? Rievochiamo quel passaggio grazie ad Alberto, il figlio, che ci ha aperto, cordiale, quello scrigno prezioso di ricordi che è l’archivio Guareschi di Roncole Verdi, gestito dal club dei Ventitré. Brescia faceva parte della geografia umana del nostro scrittore almeno dal maggio del 1932. Guareschi era al seguito, come inviato speciale, dei goliardi di Parma diretti al passo Buole. Un’ora di sosta in stazione gli permetterà di arrivare fino a piazza Vittoria, dove «è in costruzione il grattacielo, (...) il colosso che primo in Europa alzerà verso il cielo una mole di 14 piani». Guareschi e i suoi compagni perderanno il treno e la colpa è unicamente di un balcone e «del suo stile, non della bellissima ragazza che per caso c’era affacciata».
Tornerà dalle nostre parti nell’agosto del 1941, col «Giretto», passando, di buon ora, in una Desenzano ancora addormentata, quindi per Brescia dove si sofferma, ammirato, davanti ai Macc dè le ure. Poi però «si pedala verso Iseo e la bicicletta superleggera alla partenza sta diventando superpesante». Sul Sebino, Giovannino ci era andato anche qualche settimana prima, come ricordato da Alberto, in treno, con bici a seguito. Il 15 luglio del 1941 Giovannino telegrafava da Lovere al Corriere, annunciando un cicloraduno ad Iseo e ricordando al direttore «pregovi telefonare a Iseo albergo Leon d’Oro se desiderate servizio Guareschi». Il raduno si svolse il 20 luglio, raccontato in una cronaca del 21: «Salubrità del cicloturismo, quindicimila biciclette in riva al lago».
Guareschi scriveva che «Iseo si affaccia sul lago educatamente (...). Scrosci di ciclo-escursionisti si sono abbattuti sull’Iseo (...). Biciclette che scricchiolano, fischiano, raschiano ma vanno a lavorare tutte le mattine». Presente Rino Parenti, presidente dell’Opera Nazionale Dopolavoro, c’è anche spazio per del sarcasmo verso Roosevelt, Churchill, Stalin, il passaggio di una bicicletta realizzata in materiali autarchici e il saluto ai feriti reduci dal fronte. Nel Corriere del 12-13 agosto successivo, Guareschi racconta come il suo nuovo arrivo ad Iseo venga accolto da una mucca che scende dal vaporetto insieme a rivieraschi e villeggianti, scena che decide di fotografare. L’aneddoto, tra il divertito e il surreale, fa definire a Giovannino «la macchina fotografica un arnese pericoloso: quando l’avete a tracolla ogni più povera cosa vi sembra originale e interessante».
Guareschi percorre poi la sponda bresciana del Sebino e osserva come «i paesi si ritraggono verso la montagna per lasciar passare la strada. Sono paesi tutti un po’ uguali: tutti belli». A Marone, a fianco della strada, viene colpito da una casetta sulla cui facciata sono effigiati personaggi degli Sforza e dei Visconti e scrive su quanto sarebbe bello se i muri delle case si trasformassero in un’enciclopedia per immagini. È arrivata la bufera, secondo le parole di Renato Rascel divenute canzone, ma Giovannino pedala e, in quei giorni, la guerra è come un brutto sogno in dissolvenza.
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